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"Io sto con la sposa", film sui
migranti colorato e rocambolesco

ROMA. Un film alla Kusturica, colorato e rocambolesco. Non è fiction ma storia vera. È un "caso" sulla rete e alla Mostra del cinema di Venezia, a Orizzonti fuori concorso, avrà la sua ribalta. È la storia bella di Io sto con la sposa, il film di Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry, il poeta siriano rifugiato a Milano e Antonio Auguliaro, prodotto dal basso per aiutare un gruppo di migranti, fuggiti dalla guerra in Siria, scampati ad un naufragio a Lampedusa, arrivati a Milano e da lì diretti alla Svezia. Gabriele Del Grande da alcuni anni ha fondato un osservatorio, Fortress Europe, in cui raccoglie storie, testimonianze, foto, con puntualità e rigore, delle migliaia di migranti che arrivano vivi o morti sulle coste ai confini dell'Europa. L'idea dei tre "folli" è stata di organizzare un finto corteo di nozze, da Milano alla Svezia: chi potrà chiedere i documenti ad un matrimonio? Il "filmino" è diventato un film, prodotto dal basso, con i 98.151 mila euro raccolti da quasi 2600 persone con il crowdfunding e che hanno già ripagato le spese nette della troupe: 75 mila euro. La lista dei paesi dei donatori va dall'Arabia Saudita all'Australia, dall'Egitto a Israele, dall'Italia agli Stati Uniti. Dice Gabriele Del Grande: «È venuto fuori un manifesto sulla libera circolazione degli uomini, un film che è un atto civile, un'azione di disobbedienza contro leggi restrittive che non eliminano i problemi ma li accentuano i 20 mila morti nel mare mediterraneo in 20 anni hanno responsabilità politiche europee precise. Ci siamo assunti il rischio tutti insieme di un processo, questo film è un atto di autodenuncia. Al momento dell'uscita, potremmo essere condannati fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ma siamo pronti a correre il rischio». Del Grande racconta come è nato Io sto con la sposa, in appena 15 giorni. «Ero tornato da uno dei miei viaggi in Siria. In quel periodo di ottobre 2013 arrivavano a Milano 100-200 siriani al giorno, non parlavamo d'altro. Alcuni capitava di ospitarli direttamente a casa nostra e di ascoltare i loro racconti sulla guerra e sui naufragi. Ripartivano subito, con 1000 euro, questa la tariffa dei mercanti di uomini, li portavano in Svezia, tappa finale di quel flusso che dal Sud e dall'Est porta al Nord dell'Occidente. Alla stazione di Milano ho conosciuto Abdallah, un superstite del naufragio di Lampedusa dell'11 ottobre in cui sono morti in mare 250 siriani. È un palestinese siriano, una di quelle persone che da 60 anni non hanno documenti, passaporto per viaggiare, cresciute nei campi profughi diventati come Yarmuk, un quartiere periferico di Damasco, sotto assedio delle forze del regime e dove solo poco tempo fa sono morte di fame 47 persone. La sua storia ci ha colpiti profondamente, sentivamo che volevamo aiutare concretamente. Abbiamo pensato ad una mascherata: un finto corteo nuziale, chi chiederà i documenti agli sposi? L'idea del film è stata di Antonio. Ormai eravamo sul set. Come fai a non aiutare Abdallah e gli altri? All'alba del 14 novembre 2013, ci siamo incontrati davanti alla stazione centrale di Milano. Eravamo ventitrè tra italiani, palestinesi e siriani. Chi coi documenti, chi senza, tutti vestiti eleganti come se stessimo davvero andando a un matrimonio». Del Grande spiega che ora il prossimo obiettivo è l'uscita: «Il nostro produttore associato DocLab sta cercando accordi per una distribuzione italiana ed internazionale sia cinematografica che televisiva. Ma noi vogliamo che questo film continui a vivere nelle piazze, nei teatri e nelle scuole». E conclude: «È un rischio folle quello che ci stiamo prendendo. Ma vogliamo credere che esista una comunità di persone, in Europa e nel Mediterraneo, che come noi sognano che un giorno questo mare smetta di ingoiare le vite dei suoi viaggiatori e torni ad essere un mare di pace, un mare dove tutti siano liberi di viaggiare e dove nessuno divida più gli uomini e le donne in legali e illegali. Quella comunità esiste. È fatta delle persone che ci hanno ospitato durante il nostro viaggio attraverso l'Europa. Siamo molto più numerosi di quanto pensiamo. E questo è il film che ci mancava». 

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