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Estorsioni nel Nisseno, blitz «Amicizia»: due condanne in appello

Sei anni di reclusione confermati per Vincenzo Parello, indicato come uomo di fiducia dell’agrigentino Giuseppe Falsone

CALTANISSETTA. Sconto di pena per un sospetto boss, pena confermata per un fido scudiero. Così, in appello, per due tra i coinvolti nel blitz su estorsioni ed armi «Amicizia» dei carabinieri. Inchiesta che ha preso le mosse da un «pizzino» trovato nel covo di Montagna dei Cavalli di Bernardo Provenzano.

Riduzione della condanna per colui che è ritenuto boss di Cosa nostra, il campofranchese Angelo Schillaci che s'è visto infliggere la pena a 5 anni in continuazione (7 anni in primo grado). Con lui è alla sbarra anche era Vincenzo Parello indicato come uomo di fiducia del boss agrigentino Giuseppe Falsone e che ne è uscito ancora con la condanna a 6 anni. Per i due v’è un distinguo sulle imputazioni loro contestate. Schillaci è stato tirato in ballo per armi, esplosivi ed estorsione, mentre Parello è finito sotto accusa per estorsione aggravata dai metodi mafiosi.
Questo il verdetto emesso dalla corte d’Appello presieduta da Sergio Nicastro (consiglieri Miriam D’Amore e Giovanni Carlo Tomaselli), mentre a rappresentare l’accusa è stato il sostituto Pg, Fernando Asaro.

È stato un paio di anni fa il collaboratore di giustizia di Campofranco, Maurizio Carruba, a svelare agli inquirenti l’esistenza di un arsenale che sarebbe stato a disposizione della mafia. E ha aggiunto altri dettagli importantissimi. Indicando pure il nascondiglio. Individuato a pochi passi dall’impianto di calcestruzzi di proprietà dei fratelli Schillaci. Più precisamente in un canale di scolo della acque. Un piccolo tunnel che attraversa l’impianto e che a metà del cunicolo presentava uno sportello metallico, serrato con bulloni speciali di cui Schillaci avrebbe posseduto la chiave. E sarebe stato proprio lo stesso Schillaci a mostrare quel nascondiglio al collaborante.

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