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«Mafia del cemento» a Caltanissetta, in 3 vanno sotto processo

Alla sbarra anche il reggente provinciale di Cosa nostra, il vallelunghese Giuseppe Madonia, uscito indenne in primo grado

CALTANISSETTA. In tre alla sbarra per l’inchiesta sulla “mafia del cemento”. Tranche questa - non la sola in itinere – che ritrascina sul banco degli imputati un boss, un paio d’imprenditori e due ex uomini di Cosa nostra da tempo pentiti. Tutti chiamati al cospetto della corte d’Appello presieduta da Sergio Nicastro. E vi sono tornati in due su impugnazione del precedente verdetto assolutorio da parte della procura generale, gli altri tre perché giudicati colpevoli, in tutto o in parte, nel primo grado del giudizio. Sul banco degli imputati il reggente provinciale di Cosa nostra, il vallelunghese Giuseppe «Piddu» Madonia (difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cristina Alfieri) che dal primo processo, chiusosi nell’aprile di due anni fa, è uscito indenne.

A lui è stata contestata l’ipotesi di Illecita concorrenza aggravata dall’avere favorito la mafia. E per lui allora l’accusa ha chiesto la condanna a quattro anni e otto mesi. Assolto anch’egli dal gup, nel primo passaggio in aula, l’imprenditore nisseno Salvatore Rizza (difeso dagli avvocati Sergio Iacona e Sonia Costa) pure lui tirato in ballo per illecita concorrenza aggravata perché avrebbe favorito Cosa nostra. Ed è stata la procura generale chiedere un nuovo procedimento a suo carico. Discorso differente, in tema d’appello, per l’imprenditore gelese Alberto Cammarata (difeso dall’avvocato Giuseppe D’Aleo) che è stato giudicato non colpevole per illecita concorrenza aggravata dai metodi mafiosi mentre, di contro, ha rimediato la condanna a un anno e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.

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