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Parla Angelo Schillaci: «Non so niente di pizzini, né di Provenzano»

CALTANISSETTA. «Sono stato chiamato ma non so nemmeno chi siano gli imputati, né di cosa debba parlare». Così, collegato in videoconferenza, ha esordito con un po’ di velata svogliatezza il capomafia campofranchese Angelo Schillaci, indicato come rappresentante provinciale di Cosa nostra e chiamato ieri a deporre al processo d’appello su mafia e cemento «Redde rationem», che vede sul banco degli imputati gli imprenditori Antonino Bracco (lui è il solo condannato in primo grado), Antonio Graci, Antonino Marcello Ferraro, Giovanni Aloisio, Calogero Failla e, con loro, Massimo Dall'Asta (difesi dagli avvocati Sergio Iacona, Salvatore Daniele, Danilo Tipo, Davide Anzalone, Sonia Costa, Diego Perricone, Salvatore Gugino e Leo Mercurio). Con Comune, la «Livatino», Provincia, Ance, Camera di Commercio e Tavolo per lo sviluppo del centro Sicilia (avvocati Raffaele Palermo, Giuseppe Panepinto, Giuseppe Panebianco ed Alfredo Galasso) nelle vesti di parti civili.

Gli imputati sono accusati, a vario titolo, di mafia, concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione aggravata. E Schillaci, ieri, è stato citato come teste di riferimento per la posizione di Aloisio. Perché il dichiarante Salvatore Dario Di Francesco, nelle scorse udienze, ha asserito che «Schillaci perorava la causa di Aloisio su esortazione di Provenzano». E ieri, il boss campofranchese non ha confermato. Anzi su domanda del pg Stefano Luciani su un eventuale rapporto epistolare attraverso ”pizzini” con Provenzano, lo stesso Schillaci ha tagliato corto: «Pizzini? Non so neanche cosa sono ’sti pizzini... non so niente di questo, né di Provenzano».

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