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«Non è un mafioso», giovane di San Cataldo viene scagionato

SAN CATALDO. «Non è un uomo di Cosa nostra». Questo, in sostanza, è il convincimento della procura generale di Catania. Che, alla fine, nel quarto passaggio in aula - dopo l'annullamento in Cassazione della condanna - ha chiesto il colpo di spugna alla colpevolezza che era stata decretata in secondo grado a carico di un giovane di San Cataldo.

Un ragazzo allora ventunenne, Calogero Ferrara (difeso dall'avvocato Davide Schillaci) coinvolto nel dicembre di otto anni fa nella maxi inchiesta su omicidi e mafia ribattezzata “Nuovo mandamento”. E che in primo grado è stato condannato per associazione mafiosa a 9 anni per poi, in appello, ottenere uno sconto di pena scendendo a 7 anni. Questo era il quadro prima che la Suprema Corte rimettesse tutto in discussione, seppur rinviando gli atti all'Assise d'Appello di Catania per un nuovo processo.

Ora la procura generale etnea, al termine delle requisitoria, è giunta alla conclusione che il ragazzo non sarebbe legato all'organizzazione mafiosa che avrebbe fatto capo al boss emergente di San Cataldo, Cosimo Di Forte, che nel giugno del 2015 è stato condannato all'ergastolo perché ritenuto l’organizzatore degli agguati a due impresari nel settore delle pompe funebri, Salvatore Calì ucciso la sera del 27 dicembre 2008 e del fallito agguato al nipote, Stefano Mosca, messo a segno la sera del 28 novembre 2009, pure in questo caso di sabato.

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