"Ida", una novizia alla scoperta di vita e dolore Sul grande schermo il film del polacco Pawlikowski
ROMA. "Ida" del regista polacco Pawel Pawlikowski, in sala dal 13 marzo distribuito da Lucky Red, è un film da non perdere, al di là del suo palmares (miglior film al London Film Festival, il Fipresci a Toronto e l'accoglienza trionfale a Festa Mobile al Festival di Torino). Tra fede, femminilità e dolore per la vita e le sue difficili scelte, il film in bianco e nero colpisce per bellezza, rigore e dramma. Siamo nella Polonia del 1962. Anna (Agata Trzebuchowska) è una giovane e mite orfana cresciuta tra le mura del convento dove sta per prendere i voti. Insomma è una bella ragazza che non sa nulla del mondo, come della sua famiglia, e quando può preferisce inginocchiarsi e pregare, la sua unica consolazione. Poco prima della cerimonia che farà di lei una suora a tutti gli effetti, entra nella sua vita da reclusa una donna vitale e non più giovane. È Wanda (Agata Kulesza), la sorella di sua madre, una cinquantenne sanguigna e atea con un passato da integralista da giudice stalinista. Insieme a una donna così diversa che fino ad allora non aveva neppure immaginato poter esistere, Anna inizia un viaggio alla scoperta delle sue radici come della possibilità di vivere davvero quella femminilità che sta per annichilire con in voti. Anna scoprirà in questo viaggio, non solo di essere ebrea, che il suo vero nome è Ida, e che i suoi genitori sono morti in maniera orribile (al seguito delle purghe antisemitiche del Partito comunista). Ma, soprattutto, si troverà di fronte a un bivio: rinunciare alla vita o viverne almeno una parte per poterci poi rinunciare con vero sacrificio. Dice Pawel Pawlikowski (My Summer of Love, La femme du cinquieme) - che torna nella sua Polonia per girare il suo primo film in patria - del personaggio di Wanda:«nei primo anni Ottanta strinsi amicizia con il professore Brus, un economista geniale, un marxista riformista, che lascio la Polonia nel 1968. Ero particolarmente affezionato a sua moglie Elena che fumava, beveva, scherzava e raccontava grandi storie. Non sopportava gli sciocchi e mi colpiva per il suo calore e la sua generosità. Anni dopo scoprii - continua nelle note di regia Pawel Pawlikowski - che l'affabile vecchia signora quando aveva trenta anni era stata un Procuratore Generale stalinista e, tra le altra cose, in un processo farsa aveva orchestrato la morte di un uomo innocente, un vero eroe della resistenza, il generale "Nil" Fieldorf. L'averla inserita nelle storia di Ida ha contribuito a dar vita a quel personaggio. Viceversa, l'aver messo l'ex-credente con le mani sporche di sangue accanto a Ida mi ha aiutato a definire il personaggio e il percorso della giovane suora».