ROMA. Ricorda molto l'Incompresa di Asia Argento "Quel che sapeva Maisie", commedia indipendente newyorchese a firma di Scott McGehee e David Siegel tratta da
Henry James (in uscita il 26 giugno con Teodora) e con nel cast una Julianne Moore fresca di Palma come miglior attrice a Cannes per il film di David Cronenberg "Map to the Stars". Stessi genitori separati e ingombranti come nel film dell'Argento e stessa ragazzina (Maisie) in preda ai loro ancora più ingombranti egoismi. Questa la storia. In una New York piena di vita, la piccola Maisie si ritrova contesa nella causa di divorzio tra una madre rockstar, Susanna (Moore), affettuosa ma distratta, e un padre mercante d'arte, Beale (Steve Coogan), sempre in viaggio d'affari. Insomma una coppia in lotta disposta a tutto per strappare all'altro la bambina, anche solo per dispetto. Beale così, non a caso, sposa Margo (Joanna Venderham), la giovane tata di Maisie. Cosa che spinge il tribunale ad affidare al padre questa bambina tenera e amabile (interpretata da Onata Aprile). Susanna però non ci sta. E, per vendetta, prende come marito un barman altrettanto giovane, Lincoln (Alexander Skarsgard). Queste due nuove famiglie, però, funzionano davvero poco. Fa eccezione solo il fatto che Maisie sembra trovarsi bene solo con Margo e Lincoln che, rispetto ai genitori biologici, le garantiscono una sicura presenza e sono capaci di darle affetto e tenerezza. Le cose si complicano quando tra i due nasce l'amore. "Il film ruota intorno a un'idea molto semplice: raccontare una vicenda complessa e turbolenta dal punto di vista di una bambina di sette anni, facendo sì che lo spettatore arrivi a conoscere ogni personaggio solo attraverso la sua interazione con quest'ultima", spiegano i registi che hanno presentato la pellicola al Toronto Film Festival. "È una prospettiva innocente e generosa, che conferisce al film - sottolineano - una sorprendente luminosità". E ancora sul ruolo di Maisie: "Eravamo entusiasti di affrontare la sfida che comporta il fatto di raccontare una storia attraverso lo sguardo di una ragazzina, ossia di esprimerlo in termini prettamente cinematografici. Questo non ha significato imporre al pubblico quel punto di vista, quanto piuttosto rendere gli spettatori partecipi di cosa voglia dire guardare, sentire e ascoltare come una ragazzina". Dicono invece i due registi di Julianne Moore: "Ha una capacità unica di essere "tosta" e vulnerabile al tempo stesso. Come attrice, mette nel film tutta se stessa, lavorando sui dettagli abbastanza da essere cedibile, ma mai troppo da perdere la spontaneità".