TAORMINA. Fra le molteplici opportunità offerte da questa 60ª edizione del TaoFilmFest, il bel documentario di Silvio Soldini e Giorgio Garini, Un albero indiano, sembra esprimere emblematicamente l'impegno umanitario che per la general manager Tiziana Rocca e il direttore editoriale Mario Sesti è un aspetto qualificante della manifestazione. Soldini era presente, assieme allo scultore Felice Tagliaferri e ad un rappresentante della CBM Italia, una Onlus che lavora in tutto il mondo a sostegno dei disabili. Sensibili entrambi alle problematiche degli emarginati e dei diversi (insieme hanno realizzato nel 1999 Rom Tour, un documentario sulla cultura di quel popolo), Soldini e Garini hanno accettato di buon grado di documentare un'audace e singolare iniziativa che l'organizzazione benefica ha realizzato in India in collaborazione con la locale Bethany School: un corso per insegnare a bambini ciechi e sordociechi a lavorare la creta per ricavarne manufatti e sculture. Una «missione impossibile», almeno in teoria, anche perché affidata a un docente d'eccezione come Felice Tagliaferri, scultore affermato e umanamente realizzato, cieco dalla nascita. Il risultato ha dell'incredibile. Con infinita pazienza, comunicando con il tatto ma soprattutto col cuore, l'artista è riuscito a trasmettere ai suoi giovani allievi i segreti della sua arte, ma soprattutto il coraggio e l'invidiabile serenità con cui affronta la vita. L'albero indiano è un reportage sobrio ed emotivamente coinvolgente, realizzato «in punta di piedi», con sguardo sincero e con approccio mai invadente, costanti riconoscibili del cinema dell'autore di Pane e tulipani. Il regista milanese ha lavorato in perfetta sintonia con la mission della CBM Italia (entrambi sono stati premiati per il loro impegno): abbattere le barriere della diversità, e regalare a bambini meno fortunati una vita serena e il più possibile normale.
Si chiude il sipario sulla 60ª edizione del Taormina FilmFest, ed è tempo di bilanci. Le ben note difficoltà economiche in assenza di finanziamenti pubblici, hanno costretto la macchina organizzativa a pianificare in tempi toppo brevi per ottenere il massimo dei risultati. E tuttavia, tra eventi mondani e presenze divistiche e un'offerta culturale ampia e articolata (fatta di film, Tao Class ed altri eventi collaterali), la manifestazione è andata in porto in maniera abbastanza soddisfacente, con all'attivo una presenza in crescita di pubblico giovanile attento e partecipe, ma con il retrogusto amaro dei legittimi malumori da parte del personale di Taormina Arte, da troppo tempo in attesa di stipendio, e di una frettolosa attenzione nei confronti delle esigenze della stampa.
Riconosciamo a Tiziana Rocca il merito di aver gestito al meglio l'anima «mondana» della manifestazione, e a Mario Sesti quello di aver scelto film di livello qualitativo medio-alto, con qualche punta di eccellenza (un esempio per tutti il magistrale Jersey Boys di Clint Eastwood). Chi a Taormina andava in cerca di buoni film, può dunque ritenersi soddisfatto. Tanti ne son passati nelle fin troppo numerose sezioni, specie in quelle ormai consolidate, da «Fright and Fun» ai «Programmi speciali» e a «Filmaker in Sicilia» che quest'anno ha puntato i riflettori su alcuni talentuosi giovani cineasti siciliani. Con tale abbondanza e qualità di offerta cinematografica ma con una maggior coerenza tra le presenze sul palco del Teatro Antico e i film proiettati, il festival avrebbe guadagnato in coerenza e legittimità. Puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità ci sembra un'utile indicazione per entrambi gli organizzatori.
Ma in attesa della tanto auspicata Fondazione che darebbe a Taormina Arte una salutare boccata d'ossigeno, critiche e suggerimenti hanno un valore relativo. Quel che conta è non chiudere definitivamente il sipario su un festival che, con alti e bassi, per sessant'anni ha dato alla Sicilia e a Taormina fama e prestigio a e che ha tutte le carte in regola per rinnovarsi e per crescere.
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