Stato-mafia, la trattativa diventa un docu-film
Sabina Guzzanti: "Questo film è inattaccabile"
VENEZIA. «Siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo»: Sabina Guzzanti con i suoi attori guarda dritta la macchina da presa come si fa in tv, documentando una rappresentazione teatrale e avvisa così gli spettatori di quel che sta per accadere, ossia la ricostruzione della presunta trattativa tra lo Stato e la Mafia. E su questo gira tutto il film 'La trattativa', tra i più attesi della Mostra del cinema di Venezia quest'anno, fuori concorso, dichiaratamente il più temuto dal direttore del festival Alberto Barbera. La stampa lo ha applaudito. La materia è scottante, il contenuto noto anche se a vederlo tutto insieme, cronologicamente ricostruito con immagini di repertorio, interviste vere, fatti interpretati da attori, fa abbastanza paura, tracciando un quadro dei vertici delle istituzioni decisamente sconsolante. La trattativa lascia addosso allo spettatore la sensazione della nullità del cittadino, dell'inutilità del sacrificio dei servitori dello stato come Falcone e Borsellino, dei suoi uomini più sensibili come don Puglisi, dell'impossibilità di agire democraticamente essendo tutto manovrato a priori scelleratamente. La trattativa, che terrorizza già dall'immagine - lupara e scoppola dentro lo stemma della Repubblica Italiana - sarà nelle sale il 2 ottobre distribuito dalla Bim che lo ha anche prodotto insieme alla stessa Guzzanti. Dal '90, dal maxi processo alla stagione delle stragi, dalla cattura di Riina ai processi a carico del generale dei Ros Mario Mori, dagli interrogatorio a Nicola Mancino che fu ministro dell'Interno, al processo a Marcello Dell'Utri, passando per la nascita di Forza Italia, dal papello al contropapello, da Capaci a Via d'Amelio, Guzzanti mette in scena «i fatti reali e documentati», distinguendo nettamente tra stralci di interrogatori e ricostruzioni, alternando finzione e documentario in un racconto fluido e decisamente accattivante. Un passaggio delicato riguarda il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano. Nel film si vede l'ex ministro Mancino che lo tira in ballo. Sotto accusa per falsa testimonianza su un incontro avuto con Borsellino a Roma mentre il magistrato interrogava il pentito Mutulo e sulla 'leggerezza' con cui contribuì all'uscita di circa 400 mafiosi nel '93 perchè non fu rinnovato loro il 41 bis, «chiese a Napolitano di tirarlo fuori dagli impicci». È la nota questione delle telefonate di Mancino a Napolitano. Le intercettazioni su richiesta del Quirinale sono rimaste segretate e successivamente distrutte. La Guzzanti comica esplode quando mette alla berlina Giancarlo Caselli e soprattutto quando si tratta di affrontare Berlusconi e la nascita di Forza Italia - ricostruita come atto mafioso e con un divertente 'I have a dream' («una Sicilia separata dall'Italia, che si fa partito, raccogliendo massoni, separatisti, anticomunisti, camorristi, mafiosi, 'ndranghetisti benedetti dai servizi segreti americani»). Truccata da ex premier e a fianco a Dell'Utri mentre una voce racconta come quest'ultimo era imbarazzato dal comportamento di Berlusconi. «Con Cosa Nostra ci vuole molta serietà, non
avrebbe dovuto fare il bunga bunga»: e la platea ride. Realizzato in quattro anni, il film riguarda un processo, quello sulla trattativa tra Stato e Mafia per cui sono stati
rinviati a giudizio Mancino, Mannino, Dell'Utri, Cinà, Mari Subranni, De Donno accanto ai boss Riina, Provenzano e Bagarella, tutt'ora in corso. I no del ministero per i Beni Culturali e quelli di Mediaset, alcuni, come il generale dei Ros Mario Mori che non le
rilasciano interviste, altri no di minore importanza, alcune cose sgradevoli accadute in questi 4 anni di gestazione, il film bloccato dalla mancanza di fondi. Tutto alle spalle, almeno che l'atteso, temuto (il direttore della Mostra Alberto Barbera l'aveva dichiarato ufficialmente), rischioso film La trattativa che ricostruisce «in maniera inattaccabile» lo scellerato patto tra lo Stato e la mafia e per il quale è in corso un processo, arriva a Venezia. E viene applaudito. Il volto di Sabina Guzzanti si illumina, «ero gialla in albergo, non mi aspettavo niente, sto delirando da una settimana», quando la stampa, non solo italiana ma anche internazionale, l'accoglie con un applauso. Battimani che sono stati riservati al film evento Fuori Concorso anche al termine delle proiezioni. Un sospiro di sollievo, la voglia che il film vada anche bene in sala, uscirà il 9 ottobre da Bim. E che si
veda nelle scuole anche se, ammette, la regista «l'affrontare questa materia ti suscita paura, depressione, la voglia di dire me ne vado da questo paese, ma lo scopo del film
è proprio quello di permettere a tutti, anche a chi non ha seguito la storia, magari non compra i giornali, di capire fatti che hanno cambiato il corso della democrazia e che ci fanno capire da dove viene quest'Italia che abbiamo sotto gli occhi. La Trattativa dà tutte le spiegazioni che servono e il cinema credo, ha ancora una dimensione collettiva, dà forza. Questo film è senza retorica, perchè la retorica consente la menzogna». Tra gli spettatori che vorrebbe per questo film c'è il premier Matteo Renzi, «che sta riscrivendo la Costituzione con una persona come Berlusconi. Ecco faccio un appello: 'Renzi
guardi questo film e la smetta'. Tra i tanti passaggi delicati del film - che si caratterizza
per utilizzare, alternare liberamente immagini vere, di repertorio, interviste storiche come quelle a Borsellino, con ricostruzioni di attori, messe in scene teatrali da docu-fiction - uno riguarda il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Non può aprire nessuna polemica. Ogni parola del mio film che lo riguarda è stata controllata 1.678 volte, anche con l'aiuto di Giorgio Mottola di Report. L'intervento del Quirinale a favore di un indagato - Nicola Mancino, Ndr - è una cosa grave ma documentatissima», dice Sabina Guzzanti a proposito dell'episodio per cui Napolitano attraverso il segretario Donato Marra scrive alla Cassazione e a Pietro Grasso per «tirarlo fuori dagli impicci». L'ex ministro dell'Interno Mancino era sotto accusa per falsa testimonianza su un incontro avuto con Borsellino a Roma mentre il magistrato interrogava il pentito Mutulo e sulla 'leggerezza' con cui contribuì all'uscita di circa 400 mafiosi nel '93 perchè non fu rinnovato loro il 41 bis. È la nota questione delle telefonate di Mancino a Napolitano, le cui intercettazioni su richiesta del Quirinale sono rimaste segretate e successivamente distrutte. Secondo la Guzzanti, «se non ci fosse stata la trattativa tra lo Stato e la mafia, questo sarebbe un paese diverso e migliore e forse avremmo ancora due persone in gamba come Falcone e Borsellino. Invece si è preferito venire a patti per mantenere il potere e continuare a guadagnare, a vincere gli appalti».