Tutta colpa dei Comuni soci. Nessun bilancio truccato. Tradotta in soldoni è il succo della motivazione per cui gli ex vertici dell’Ato rifiuti nel giugno scorso sono stati assolti per false comunicazioni sociali e abuso di potere. Ed è divenuto definitivo il verdetto per l’ex presidente Giuseppe Cimino, il suo vice Salvatore Parenti ed i consiglieri del Cda Antonino Baglio e Giuseppe Lupo (difesi dagli avvocati Massimiliano Bellini, Giuseppe Dacquì, Sergio Iacona, Sonia Costa e Giuseppe Arnone). Perché la procura non ha appellato il pronunciamento emesso il 9 giugno scorso tribunale presieduto da Antonio Napoli che ha assolto i quattro perché «il fatto non sussiste». Non rilevando «pratiche illecite e truffaldine di bilancio dell’Ato». A coprire i buchi, in sostanza, avrebbero dovuto provvedere i Comuni soci «che avrebbero dovuto trasmettere tutte le informazioni necessarie» e tra queste «i costi sostenuti dai singoli comuni per l’affidamento dell’attività di raccolta e smaltimento di rifiuti soldi urbani, l’ammontare percentuale del tributo che i singoli comuni intendevano coprire con le proprie finanze e quello che, invece, sarebbe stato sopportato dagli utenti finali del servizio. Dati mancando i quali - non certo per cattiva volontà dei dirigenti o degli amministratori dell’Ato, ma per cattiva volontà o inefficienza dei comuni che costituivano la sua compagine sociale - era di sicuro assai arduo operare una programmazione ragionevole dei costi complessivi del servizio e, a maggior ragione, di quelli che avrebbero dovuto sostenere i singoli soci». Poi il riferimento alla legge regionale (la 19 del 2005) che prevede «che i Comuni, per la propria quota di competenza, hanno l’obbligo d’intervenire finanziariamente per assicurare l’integrale copertura della spese della gestione integrata dei rifiuti», per cui secondo il tribunale «i comuni soci dell’Ato sono tenuti a coprire tutti i costi dell’ente d’ambito, sia amministrativi che gestionali per garantire il pareggio di bilancio». V’è pure la citazione di una circolare dell’Arra con una diffida ai comuni di adempiere. Quanto alla inesigibilità dei crediti, per i bilanci del 2006 e 2007, «non pare dubbio al Collegio che sia dipeso, con l’avallo degli stessi consulenti del Pm, non tanto da illecite e truffaldine pratiche di bilancio dell’Ato, quanto delle evidenti pratiche ostruzionistiche poste in essere negli anni dai comuni soci, nel tentativo di addossare sulla società d’ambito la totalità dei costi di amministrazione e di gestione del ciclo dei rifiuti». E il tribunale ha assolto gli ex vertici Ato «escludendo ogni possibilità di ravvisare in capo agli imputati il dolo intenzionale teso a ingannare i soci o il pubblico e non sembra neanche sussistere il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto». (*VIF*)