CALTANISSETTA. Il cemento “impoverito” veniva utilizzato nelle zone meno soggette a controllo. E si sarebbe fatto ricorso alla ricetta di qualifica nei punti delle opere più a vista dove, con un più elevato tasso di probabilità, si sarebbero effettuati i controlli «essendo gli stessi programmati, quindi inesistenti, ed essendo gli stessi quasi preannunciati». Questo «un altro degli accorgimenti che venivano posti in essere», secondo i contenuti della sentenza emessa il 30 settembre scorso dalla corte d’Appello presieduta da Sergio Nicastro (consiglieri Miriam D’Amore e Giovanni CarloTomaselli), nei confronti degli ex vertici della Calcestruzzi, con la sola condanna a due anni e mezzo comminata all’ex Ad mario Colombini per frode in pubbliche forniture, mentre sono stati assolti l’ex direttore per Sicilia e Campania Fausto Volante per illecita concorrenza aggravata dall’avere favorito la mafia, l’allora capo area Giovanni Giuseppe Laurino e il boss calatino Francesco La Rocca entrambi per frode in pubbliche forniture ed illecita concorrenza. Il riferimento dei giudici in relazione ai controlli «preannunciati» - rifacendosi pure alle deduzioni di periti - è alle due opere rimaste al centro del procedimento, ovvero il porto isola di Gela e il nuovo palazzo di giustizia, sempre di Gela. Sì, perché per le altre strutture pubbliche inizialmente finite al centro del dossier è stata poi decisa la prescrizione. «Sostanzialmente - è emerso tra le pagine della sentenza d’appello – i controlli avvenivano in modo programmato, quindi si telefonava prima all’impianto di betonaggio, gli si diceva guardate che dobbiamo fare il… per questa prossima betoniera un prelievo di calcestruzzo per fare i cubetti…». ALTRE NOTIZIE NELL'EDIZIONE DI CALTANISSETTA DEL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA