MAZZARINO. Alla sbarra a dieci anni, e anche qualcosa in più, da sospette estorsioni messe a segno sotto l’ombra della mafia. Che in nome degli interessi economici avrebbe pure dissotterrato l’ascia di guerra mettendo da parte antichi e radicatissimi dissapori tra cosche avverse. Che per soldi hanno pure siglato una pax. Un tacito accordo tra Cosa nostra e Stidda di Mazzarino che negli anni passati si sono dati battaglia a suon di morti ammazzati. Poi, per spartirsi i proventi di droga e pizzo, si sono stretti idealmente la mano. Sette di loro, appartenenti a cosche avverse, sono chiamati alla sbarra per avere spillato soldi a un imprenditore. Scenario venuto fuori tra le pieghe della maxi inchiesta antimafia dei carabinieri ribattezzata «Cerbero». Questo filone bis, legato al pizzo, vedrà sotto accusa sette imputati di Mazzarino. A cominciare da coloro che sono ritenuti esponenti di spicco della Stidda, Liborio Sanfilippo e Calogero Sanfilippo (difesi, rispettivamente, dagli avvocati Giampiero Russo e Gaetano Giunta) e, sul fronte opposto di Cosa nostra, Maurizio Siciliano (difeso dagli avvocati Antonio Impellizzeri e Rosita La Martina), Salvatore Siciliano (assistito dall’avvocato Michele Ragonese) e Giovanni Siciliano (difeso dall’avvocato Dino Milazzo).