CALTANISSETTA. Michele Giarratana vuota il sacco. E ai magistrati sta chiarendo i contorni di un’indagine che lo ha riguardato e per la quale, ieri, era atteso in udienza preliminare insieme ad altri sei imputati. Che sono tirati in ballo, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata alle truffe, sostituzione di persona e falso materiale commesso da privato. Contestazioni che sono contenute nel dossier ribattezzato «Friends», legato a un’indagine dei carabinieri.
Michele Giarratana (assistito dall’avvocato Mariangela Randazzo) sta rivelando al pubblico ministero Luigi Leghissa ciò che sa su questo maxi giro di truffe ai danni di società finanziarie. Lui che peraltro, in questa e altre inchieste similari, è stato sempre considerato l’«anima» del sistema entrato nel mirino dei magistrati.
Questa nuova veste di Giarratana in questa inchiesta ha ”congelato” per il momento il procedimento in corso dinanzi il giudice per le udienze preliminari, Lirio Conti. Che è chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura nei confronti dei setti imputati coinvolti in questo scenario su cui hanno squarciato i veli i carabinieri. Oltre che su Giarratana la proposta di rinvio a giudizio pende pure su Giuseppina Annatelli, Rosario Guarnaccia, Eugenio Amico, Salvatore Faulisi (assistiti dagli avvocati Giuseppe Dacquì e Giacomo Vitello) i tunisini Moez Abed e Hamdi Makrem. Mentre un ottavo, Raffaele Ziino adesso è nelle veste di parte offesa.
Ieri uno dei presunti truffati (assistito dall’avvocato Walter Tesauro) ha chiesto di potersi costituire parte civile.
Al vaglio del gup vanno incartamenti legati a presunte truffe che si sono consumate nell’arco di cinque anni. In particolare nell’intervallo di tempo che va dal 2009 al 2013. In questo lasso ne sarebbero state messe a segno, secondo la ricostruzione degli inquirenti, una sessantina per un ammontare di oltre 165 mila euro. E sono relative all’acquisto di automobili, computer, elettrodomestici, costosi telefoni cellulari, mobili e altra merce ancora. Comprata perlopiù in negozi cittadini che fanno capo a grosse catene nazionali.
Secondo lo spaccato tracciato dalla procura, a turno molti degli indagati si sarebbero presentatati in negozio acquistando merce. Al momento di stabilire la formula di pagamento hanno chiesto di ottenere un finanziamento. A quel punto sarebbe scattata la trappola. Sì perché le pratiche sarebbero state istruite utilizzando documenti d’identità con generalità d’ignari acquirenti e le fotografie di, di volta in volta, si presentava nel punto vendita. Alla fine quattro società finanziarie ne avrebbero subito le conseguenze.
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