CALTANISSETTA. In aula le rivelazioni dei pentiti su mafia e pizzo. Su quello scenario insolito, finito al centro dell’inchiesta dei carabinieri «Cerbero», che avrebbe visto Cosa nostra e Stidda sotterrare l’ascia di guerra in nome di un «patto d’affari». Quello su cui si sono un po’ soffermati ieri i collaboratori di giustizia Massimo Carmelo Billizzi e Crocifisso Smorta, che hanno deposto per videoconferenza al processo a sette imputati ritenuti esponenti, seppur con spessore differente, di Cosa nostra e Stidda. Sono Liborio Sanfilippo, Giuseppe Selvaggio, Giovanni Siciliano, Francesco Ghianda, Salvatore Siciliano, Calogero Sanfilippo e Maurizio Siciliano (difesi dagli avvocati Ernesto Brivido, Giampiero Russo, Dino Milazzo, Vincenzo Vitello, Gaetano Giunta e Michele Ragonese). A loro carico il pm Luigi Leghissa ha ipotizzato il reato di estorsione con l’aggravante mafiosa, dell’uso di armi e dei metodi violenti. «Conoscevo Selvaggio e Salvatore Siciliano come uomini d’onore», ha esordito Billizzi nel corso della sua audizione. «Io avevo rapporti soltanto con Selvaggio - ha aggiunto il collaboratore di giustizia - rapporti di collaborazione per questioni estorsive». E lo stesso pentito è entrato ancor più nei dettagli. DAL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA. PER LEGGERE TUTTO ACQUISTA IL QUOTIDIANO O SCARICA LA VERSIONE DIGITALE