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Borsellino, il pg: "Confermare prescrizione Scarantino, indotto a mentire"

Il pg Lucia Brescia ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado per il falso collaboratore Vincenzo Scarantino. Lo ha fatto nel corso della sua requisitoria nel processo per la strage di via d’Amelio che si celebra in corte d’Assise d’appello a Caltanissetta.

In primo grado, la corte, per Scarantino, aveva sentenziato la prescrizione del reato perchè "indotto a mentire".

"Scarantino - ha sottolineato il Pg Brescia - trasferito presso la casa circondariale di Pianosa, ebbe una serie di colloqui investigativi: rispettivamente il 20 dicembre 1993 con Mario Bo (funzionario di polizia), il 22 dicembre 1993 con Arnaldo La Barbera, il 2 febbraio 1994 nuovamente con Mario Bo e il 24 giugno dello stesso anno ancora con Araldo La Barbera. In quest’ultima data Scarantino (il quale fino all’interrogatorio reso il 28 febbraio 1994 alla dottoressa Boccassini aveva protestato la propria innocenza) iniziò la propria collaborazione con l’autorità giudiziaria, confermando il falso contenuto delle dichiarazioni precedentemente rese da Candura e da Andriotta ed aggiungendo ulteriori tasselli al mosaico". Proseguendo poi sul ruolo rivestito da Scarantino, il Pg ha detto che "le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino pur essendo sicuramente inattendibili, contengono alcuni elementi di verità".

"Sin dal primo interrogatorio reso dopo la manifestazione della sua volontà di 'collaborare' con la giustizia, in data 24 giugno 1994, Scarantino - ha menzionato l’avvenuta sostituzione delle targhe del veicolo successivamente al furto. Nelle sue successive deposizioni, ha sostenuto che la Fiat 126 era stata spinta al fine di entrare nella carrozzeria (circostanza questa che presuppone la presenza di problemi meccanici). Egli, inoltre, ha aggiunto di avere appreso che sull'autovettura erano state applicate le targhe di un’altra Fiat 126, prelevate dall’autocarrozzeria dello stesso Orofino e che, quest’ultimo, aveva presentato nel lunedì successivo alla strage la relativa denuncia di furto".

Si tratta, per il magistrato, di un insieme di "circostanze del tutto corrispondenti al vero ed estranee al personale patrimonio conoscitivo dello Scarantino, il quale non è mai stato coinvolto nelle attività relative al furto, al trasporto, alla custodia e alla preparazione dell’autovettura utilizzata nella strage. E’ quindi del tutto logico ritenere che tali circostanze siano state a lui suggerite da altri".

"Scarantino continua a mantenere un atteggiamento ambiguo e ondivago nelle sue dichiarazioni. La sua responsabilità non può essere esclusa, essa può e deve essere tuttavia attenuata". Scarantino sarebbe stato consapevole di rendere false dichiarazioni nel corso degli anni nei confronti di persone estranee alla strage. Le dichiarazioni rese da Scarantino, ritenuto inizialmente attendibile, provocarono la condanna all’ergastolo di sette persone innocenti che solo dopo, grazie alle rivelazioni di Spatuzza, riconquistarono la libertà.

Discorso diverso per gli altri falsi pentiti. Le menzogne raccontate sin dalle prime fasi delle indagini sulla strage di via d’Amelio dai falsi collaboratori di giustizia che poi portarono al depistaggio delle indagini, sono state al centro della requisitoria del sostituto procuratore generale Fabiola Furnari. "Francesco Andriotta e Calogero Pulci hanno reso gravissime dichiarazioni mendaci da cui sono discese pesantissime condanne", ha detto il pg, "Andriotta ha ammesso di non sapere nulla e di aver barattato la sua libertà con quella degli altri".

Il ruolo di Andriotta sarebbe stato quello di convincere Scarantino a collaborare. "Il rapporto fra i due nasce durante la loro detenzione al carcere di Busto Arsizio. Un rapporto sempre più stretto al punto tale che Scarantino confessò di aver commissionato a Candura il furto di quella Fiat 126 utilizzata nella strage del 19 luglio del 1992, su richiesta di un parente. Con le sue false dichiarazioni - ha proseguito - Andriotta ha determinato per Scotto, Profeta e Vernengo, la pena dell’ergastolo e la condanna per Scarantino".

Il Pg ha quindi chiesto per Andriotta la conferma della sentenza di primo grado. L’accusa ha anche sottolineato che "la sua non è stata una confessione spontanea ma è stata sollecitata dalle dichiarazioni di Spatuzza che hanno smantellato il suo progetto diabolico. Avrebbe potuto tirarsi indietro e invece non lo ha fatto". ANSA

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