Il medico mafioso di Totò Riina, Antonino Cinà, 74 anni, è indagato nella nuova inchiesta della procura di Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio, a Palermo, dove il 19 luglio '92 vennero uccisi con un’autobomba il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della Ps di scorta. Il gip di Caltanissetta Valentina Balbo ha rigettato la richiesta di archiviazione presentata dal pool nisseno coordinato dal procuratore Amedeo Bertone e dall’aggiunto Gabriele Paci.
Il giudice delle indagini preliminari ha fissato un’udienza al 28 ottobre, nel palazzo di giustizia di Caltanissetta. Cinà, analista nel reparto di Neurologia del Civico palermitano, venne arrestato la prima volta nel 1993 chiamato in causa da alcuni collaboratori che lo hanno indicato come medico personale del boss Riina e uomo d’onore a disposizione di Cosa nostra. Cinà è stato quindi arrestato e condannato varie volte per associazione mafiosa.
Nell’aprile 2018 era stato condannato a 12 anni di carcere nell’ambito del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia: avrebbe consegnato lui a Vito Ciancimino il papello con le richiesta della mafia allo Stato per interrompere la stagione stragista. Nel processo in cui era imputato con l’ex deputato regionale di Forza Italia Giovanni Mercadante (entrambi poi condannati) per spiegare il senso di alcune intercettazioni che lo riguardavano disse.
«Sono un cristiano, quando Rotolo mi parlò del desiderio dei Lo Piccolo di far rientrare in Sicilia la famiglia Inzerillo, mi preoccupai delle possibili conseguenze della vicenda. Temevo una nuova guerra. Ricordavo ciò che era accaduto negli anni '80 e quanti lutti c'erano stati. Per questo cercai di fare da paciere, un pò come l'Onu».(ANSA).
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