«Io indagai sull'agenda rossa di Borsellino fin dal primo momento. Come pure indagai sul Sisde, per questo mi indigno quando si parla di inerzia investigativa». Lo ha detto Nino Di Matteo, ex pm del pool che indagò sulla strage di via D’Amelio, citato a deporre al processo, in corso a Caltanissetta, sul depistaggio delle indagini sull'attentato. Imputati di calunnia aggravata i poliziotti Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, che facevano parte della squadra di investigatori che condusse l'inchiesta. Secondo l’accusa, avrebbero costruito una verità di comodo sulla strage imbeccando falsi pentiti come Vincenzo Scarantino, costringendoli a mentire e ad accusare persone che non avrebbero avuto un ruolo nell’attentato. Per il depistaggio sono indagati a Messina anche due pm dell’epoca: Anna Palma e Carmelo Petralia. Anche loro, come i poliziotti, rispondono di calunnia aggravata. «Sono certo che nè io, nè altri miei colleghi parlammo con Scarantino nelle pause degli interrogatori di fatti relativi alle indagini», ha detto Di Matteo, ora consigliere del Csm, rispondendo alle domande dell’aggiunto Gabriele Paci ha ricordato i giorni in cui per la prima volta, nel 1994, sentì Scarantino a Genova. «Non ci furono pause durante quegli interrogatori - ha spiegato - e lo ricordo bene perché a un certo punto era necessario per Scarantino rifocillarsi e io non gli consentii di uscire chiedendo di portare dei panini nella stanza in cui eravamo. Ci mettemmo in due angoli diversi e mangiammo e mentre eravamo lì pensavo: 'sto mangiando nella stessa stanza con chi ha detto di aver partecipato a un fatto per cui io ho pianto amaramente'». «Indagai a fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage. Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende». Contrada era il numero due del Sisde. Anni dopo fu processato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. «Vedendo quegli atti mi accorsi che c'era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l’esplosione aveva constatato la presenza di Contrada - ha aggiunto - I poliziotti aveva fatto una relazione che poi era stata strappata in questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte». «Si avviò una indagine molto spinta sui Servizi Segreti. - ha spiegato - Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere che, poi, si decise a fare il nome della sua fonte che indicò in Roberto Di Legami, funzionario di polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto». «All’epoca l’ipotesi investigativa era che ci fosse un coinvolgimento dei Servizi di sicurezza nelle stragi. Ma noi (magistrati del pool di Caltanissetta, ndr) non ci siamo fatti aiutare dai Servizi, noi abbiamo indagato sui Servizi o almeno su parte di questi. E alcuni soggetti li abbiamo anche mandati a processo», ha aggiunto Di Matteo. «Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar», ha concluso Di Matteo.