Il diritto di cronaca non è esclusiva dei giornalisti, vale anche sui social. Un assolto a Caltanissetta
La scriminante del diritto di cronaca non è un’esclusiva per giornalisti professionisti. Anzi, non è neppure una prerogativa da status da riconoscere ai soli iscritti all’albo, perché il diritto di informare, o quantomeno di far circolare informazioni, nella società liquida dei social network spetta a tutti. L’interpretazione digitalmente orientata dell’articolo 21 della Costituzione – scrive Il Sole 24 Ore – è tratta dalla sentenza 27969/22 depositata ieri dalla Quinta penale della Cassazione (presidente De Gregorio, relatore Guardiano). Principio che ha una sintesi molto chiara: chiunque può ledere la reputazione di altri a condizione che lo faccia per ragioni di informazione e con i presupposti del diritto di cronaca: e cioè, per aderire ai fondamentali del giornalismo, che la notizia pur diffamatoria riportata (o meglio, ripostata, visto il contesto) sia vera o comunque veridica, che incontri un interesse pubblico e che sia trattata con adeguata terzietà (quindi con un uso del linguaggio pertinente e «continente»). Ad innescare la controversia frutto di triangolazioni piuttosto complicate era stata la condanna di un 45enne avvocato, sanzionato per diffamazione per aver dato del «giornalista tossico» a un professionista siciliano, la cui asserita colpa era stata solo quella di riportare su un sito nisseno il post Facebook del fratello dell’imputato. Questi si era lamentato pubblicamente della difesa tecnica ricevuta dal congiunto in un processo per furto celebrato davanti al Tribunale di Como, chiosando che la condanna alla reclusione inflittagli sulle rive del Lario avrebbe dovuto bensì scontarla il difensore/fratello per emendare una prestazione professionale... deficitaria. Notizia vera, questa? Poco importa, dice la Corte: il giornalista l’ha ripresa con citazione integrale e neutra, ha dato la possibilità all’avvocato di replicare e, soprattutto, quel post da giorni era al centro dell’interesse locale per i gradi del fratello, personaggio molto pubblico. Sulla cui attività, dice la Corte, il congiunto può informare e anche diffamare, ma sempre dentro i confini del «diritto di cronaca».