I servizi segreti non avrebbero potuto partecipare alle indagini sulla strage di via D’Amelio del 19 luglio del 1992, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque poliziotti. Lo ritengono i giudici del tribunale di Caltanissetta che ieri (giovedì 6 aprile) hanno depositato le motivazioni della sentenza sul depistaggio delle indagini sull'attentato. «Dell’impropria partecipazione del Sisde alle indagini non era al corrente solo il procuratore Tinebra (che pure la sollecitò), ma anche il vertice dei servizi di sicurezza. È legittimo ritenere che il capo della polizia di Stato e i vertici dei servizi segreti non potessero assumere un’iniziativa senza un minimo avallo istituzionale che non poteva che provenire dall’organo di vertice politico dell’epoca, cioè l’allora ministro dell’Interno Mancino», spiegano. Il collegio sottolinea che Tinebra non sarebbe stato il solo magistrato a sapere del ruolo degli 007 nell’inchiesta. «Sarebbe inspiegabile sul piano della logica - dicono - ritenere che Tinebra abbia avviato solitariamente la collaborazione con il Sisde; se veramente così fosse stato, egli avrebbe tenuto il più possibile celati tali contatti, mantenendo riservati i colloqui e non certo promuovendo la partecipazione dei magistrati dell’ufficio a riunioni o pranzi con esponenti del Servizio». «È probabile - concludono - che pur essendo i magistrati dell’ufficio pienamente a conoscenza di tale collaborazione nessuno ritenne, anche in ragione del fatto che si trattava di un’iniziativa promossa dal capo dell’ufficio, di sollevare (e soprattutto registrare, lasciandone traccia scritta) obiezioni rispetto ad una collaborazione con il Sisde che non era consentita».