Caltanissetta

Sabato 23 Novembre 2024

I giudici: «L’isolamento di Falcone e Borsellino favorì la scelta di ucciderli»

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano isolati. A descrivere il clima in cui vivevano i due magistrati all’interno del mondo istituzionale (e soprattutto della stessa magistratura) è stato il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè. Questo, si legge nelle motivazioni della sentenza sul depistaggio della strage di via D’Amelio, «ha certamente contribuito - ha detto Giuffrè - a far sì che non ci si preoccupasse oltremodo delle conseguenze negative che potevano colpire cosa nostra dopo l’uccisione dei due giudici». Come è noto, Falcone venne ucciso nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992 e Borsellino poco dopo, il 19 luglio dello stesso anno, proprio in via D'Amelio, a Palermo. «La mafia prima delle stragi del 1992, effettuò dei “sondaggi” con “persone importanti” appartenenti al mondo economico e politico», ha detto sempre Giuffrè, il quale ha anche riferito che «in quel periodo erano ben pochi i sostenitori di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino», i quali «non interessavano proprio a nessuno» e non erano ben visti neppure all’interno della magistratura. Nella decisione di eliminare i due magistrati palermitani aveva avuto un peso proprio il loro isolamento. La strategia terroristica di Salvatore Riina traeva la sua forza dalla previsione (rivelatasi poi infondata anche a causa della paura insorta in buona parte del mondo politico e della conseguente reazione dello Stato) che passato il periodo delle stragi si sarebbe ritornati alla normalità». «Riina e Provenzano – ha aggiunto Giuffrè - erano in contatto con personaggi importanti». A parlare dell’isolamento di Borsellino, anche la moglie, Agnese Piraino Leto. «Ricordo perfettamente – aveva detto la consorte di Borsellino - che sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini senza essere seguiti dalla scorta. In tale circostanza, Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere». «Egli avrebbe dunque espresso la convinzione – scrivono i giudici di Caltanissetta - secondo cui personaggi estranei a cosa nostra avrebbero, di lì a poco, organizzato o comunque partecipato alla sua eliminazione, percependo dunque come proveniente da “fuoco amico” le minacce rivolte nei suoi confronti».

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