Menti alcuni, braccio armato di Cosa nostra altri. Tutti coinvolti nella faida mafiosa che negli anni ‘90 ha seminato morte nell’area di Riesi. Così li ha riconosciuti nel primo passaggio in aula la Corte, infliggendo cinque ergastoli e altre tre condanne. Sette di loro torneranno alla sbarra, in appello, nel tentativo di scrollarsi di dosso la colpevolezza piovutagli sul capo. A cominciare dal boss riesino di Cosa nostra, Pino Cammarata di 70 anni, il fratello, Francesco Cammarata di 62, il loro cugino, Gaetano Cammarata, 49 anni, il capomafia di Mazzarino, Salvatore Siciliano, 59 anni e Franco Bellia di 52, tutti condannati un anno fa dall’Assise di Caltanissetta al carcere a vita. Siederanno sul banco degli imputati anche il riesino Giovanni Tararà che ha rimediato 16 anni di reclusione e il terzo dei boss Cammarata, Vincenzo - fratello di Pino e Francesco - assolto per un omicidio ma condannato a 18 anni per mafia. E sono state le parti civili a impugnare nei suoi confronti il precedente verdetto. I sette (assistiti dagli avvocati Vincenzo Vitello, Carmelo Terranova, Davide Anzalone, Maria Teresa Pintus, Eugenio Rogliani e Sara Luiu) sono tirati in ballo, a vario titolo, per gli omicidi di Angelo Lauria, Gaetano Carmelo Pirrello, Michele Fantauzza, Andrea Pirrello, Pino Ferraro e, ancora, i falliti agguati a Salvatore Pirrello, Salvatore Pasqualino e Tullio Lanza. Tutti consumati a Riesi tra il 1992 e il 1998. E sono ben venticinque le parti civili costituite nei loro confronti, tutti familiari di vittime e superstiti (assistiti dagli avvocati Walter Tesauro, Maria Giambra, Boris Pastorello, Giovanni Vetri, Paolo Testa, Antonio Gagliano e Vincenzo Salerno) ai quali la Corte d’Assise ha già riconosciuto il diritto a un risarcimento dei danni da stabilire in un procedimento dedicato. Al loro fianco anche il Comune di Riesi (assistito dall’avvocatessa Annalisa Petitto) a cui è stato attribuito, oltre l’indennizzo, una provvisionale di 10 mila euro.