La corte d’appello di Caltanissetta, confermando la sentenza di primo grado, ha condannato il ministero della Salute al pagamento di un risarcimento danni di 850mila euro a una donna morta a 50 anni per malattie contratte dopo una trasfusione di sangue a cui era stata sottoposta nel 1969.
Per il legale dei familiari della vittima, l’avvocato Giuseppe Vignera, «il caso in questione è l’ennesimo esempio che la giustizia italiana è sensibile a queste tematiche e coerente ai principi espressi dall’ordinamento giuridico e dalla Suprema Corte».
«Le due sentenze - aggiunge - riaffermano un principio cardine in questa materia secondo cui la responsabilità colposa dell’amministrazione sanitaria statale, per non avere adottato le misure idonee a prevenire ed impedire la trasmissione di gravi malattie virali mediante trasfusioni di sangue infetto, quali l’Epatite C e l’Aids, è sussistente già dalla fine degli anni Sessanta e che sulla quantificazione del danno spetta agli eredi della persona che cessa di vivere, per fatto addebitabile a terzi, un risarcimento parametrato all’intensità del vincolo familiare, alla convivenza, alla consistenza del nucleo familiare, alle abitudini di vita, all’età della vittima e dei singoli familiari superstiti, alla compromissione delle esigenze di questi ultimi».
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