«Dopo 31 anni ci sono ancora zone d’ombre sulla strage di via d’Amelio e questo processo cercherà di dipanarle». È quanto ha affermato il sostituto procuratore generale di Caltanissetta Gaetano Bono nel corso del suo intervento all’apertura del processo, che si celebra in appello, sul depistaggio delle indagini successive alla strage di via D’Amelio.
Sul banco degli imputati tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Fecero parte del pool Falcone-Borsellino ed erano agli ordini dell’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Avrebbero contribuito a manipolare il falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino.
In primo grado era caduta l’aggravante mafiosa. Reati prescritti per Mario Bo e Fabrizio Mattei. Assoluzione per Michele Ribaudo. Imputati che ieri, erano presenti in aula. L’accusa ritiene che dietro la strage vi sia stata non solo la mano della mafia ma anche quella dei servizi segreti.
«Il vero convitato di pietra di questo processo - ha affermato il Pg Gaetano Bono - è proprio il personale dei servizi segreti. Le condotte commesse dagli imputati, sono state commesse sotto la gestione di Arnaldo La Barbera e con l’apporto decisivo dei sevizi segreti. Non si può escludere il ruolo che il Sisde ha avuto negli anni».
Intanto anche in questo processo incombe il rischio prescrizione. Ecco perché l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Paolo Borsellino, ha chiesto alla corte presieduta da Giovanbattista Tona, una corsia preferenziale e che il processo venga celebrato in tempi brevi.
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