Una ditta nissena può tornare a lavorare grazie al Tar di Palermo che ha accolto il ricorso presentato per una
istanza di aggiornamento di informativa interdittiva ed ha annullato un provvedimento della prefettura di Caltanissetta. La vicenda ha inizio nel 2019, a seguito dello scioglimento del consiglio comunale di Bompensiere. La prefettura di Caltanissetta aveva emanato un provvedimento interdittivo nei confronti di una società amministrata dall’allora sindaco, sulla base dell’asserito pericolo di infiltrazioni mafiose in forza di legami di parentela e presunte frequentazioni pregiudizievoli. Un danno economico non indifferente per l’impresa, legato alla preclusione di qualunque attività lavorativa, che si era così rivolta agli avvocati Girolamo Rubino e Lucia Alfieri proponendo un ricorso giurisdizionale davanti al Tar di Palermo chiedendo l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento interdittivo.
Nelle more del giudizio, essendo decorso ormai oltre un anno dall’adozione del provvedimento interdittivo ed in ragione della sopravvenienza di fatti nuovi di segno favorevole ed idonei ad attestare l’estraneità della società da qualsivoglia ambiente malavitoso, la società inoltrava un’istanza di aggiornamento del provvedimento interdittivo. «Nondimeno – spiegano oggi gli avvocati –, la prefettura di Caltanissetta riscontrava negativamente la richiesta di aggiornamento, assumendo che in esito ad una nuova istruttoria non erano emersi nuovi elementi tali poter indurre all’adozione di un provvedimento liberatorio”. Contro questo provvedimento, la società ricorrente, sempre con il patrocinio di Rubino e Alfieri, ha presentato un ulteriore ricorso innanzi al Tar ribadendo, «non solo l’inconsistenza e l’inconducenza dei fatti che a suo tempo avevano sorretto il provvedimento interdittivo, ma, altresì, il sopraggiungere di circostanze tali da poter indurre ad una valutazione favorevole e di segno opposto rispetto alla precedente informativa”.
Con ordinanza cautelare del gennaio 2023, il Tar ha l’istanza cautelare proposta dalla società ricorrente ed ha ordinato alla prefettura il riesame delle circostanze sopravvenute di cui all’istanza di aggiornamento. «Tuttavia, la prefettura di Caltanissetta – raccontano i legali – tergiversava al riesame delle circostanze sopravvenute e di cui all’istanza di aggiornamento in ragione della pendenza del giudizio». Gli avvocati eccepivano quindi come il modus operandi della prefettura “sviliva la ratio sottesa all’istituto dell’aggiornamento delle informative antimafia, in quanto in nessun caso il rinvio ad un giudizio pendente, nonché la sua definizione sul precedente provvedimento interdittivo avrebbero potuto costituire ragione ostativa al procedimento di aggiornamento. Ciò in quanto il giudizio avverso la precedente informativa, cristallizzava lo stato di fatto esistente al momento dell’adozione del provvedimento interdittivo, stato di fatto che nelle more può mutare o comunque non essere più attuale e come tale indicativo di un concreto pericolo di infiltrazione mafiosa».
Gli avvocati hanno anche evidenziato come l’omessa valutazione delle circostanze poste a base dell’istanza di aggiornamento inficiavano il provvedimento adottato dalla prefettura, «il quale avrebbe dovuto considerarsi palesemente illegittimo, per violazione dell’art. 92 co. 2 bis del. D.L. n. 159/2011 e del contraddittorio procedimentale». Veniva rilevato inoltre che “trattandosi di nuovo procedimento di valutazione avviato su istanza dell’interessato, la prefettura, salve ragioni di urgenza tali da non consentire la dilazione dei termini di conclusione del procedimento, non sussistenti nel caso di specie, avrebbe dovuto comunicare i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di aggiornamento». Inoltre il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo laddove l’informativa antimafia ha una validità limitata di dodici mesi, dunque, alla scadenza del termine indicato la prefettura avrebbe dovuto procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva.
Con sentenza del 13 maggio, condividendo le tesi difensive degli avvocati Rubino e Alfieri, il Tar ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato.
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