A voler leggere tra le righe del dispositivo un passo in più è stato fatto, ma la verità giudiziaria sulla strage di Via D’Amelio resta lontana, sepolta dalla prescrizione che, a distanza di 32 anni dai fatti, impedisce ancora una volta di avere un verdetto di colpevolezza su quello che i giudici definirono «il più grave depistaggio della storia repubblicana». La corte d’appello di Caltanissetta, come fece il tribunale, ha dichiarato prescritte le accuse di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia contestate al funzionario di polizia Mario Bo e all’ispettore Fabrizio Mattei, investigatori del pool che condusse le indagini sulle stragi mafiose del ‘92. Stessa decisione è stata presa per il terzo imputato, l’agente Michele Ribaudo che, invece, in primo grado era stato assolto per mancanza di dolo. In attesa delle motivazioni della sentenza è certo che il collegio, optando per la prescrizione, non ha ritenuto di poter assolvere i tre imputati nel merito. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, sotto la guida dell’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera, poi deceduto, i tre investigatori avrebbero costruito a tavolino una falsa verità sull’attentato, costringendo personaggi come Vincenzo Scarantino, piccolo contrabbandiere del quartiere Guadagna assurto al rango di superteste, a incolpare dell’eccidio mafiosi che con l’autobomba di Via D’Amelio non c’entravano nulla. Da qui l’accusa di concorso in calunnia contestata ai tre imputati, aggravata, secondo l’accusa, dall’aver favorito la mafia. Dichiarazioni, quelle dei falsi pentiti, costate l’ergastolo a 7 innocenti poi scagionati col processo di revisione. Al dibattimento erano costituiti parti civili i figli e il fratello del giudice Borsellino, alcuni familiari degli agenti di scorta e i sette mafiosi condannati ingiustamente per l’eccidio: Gaetano Murana, Giuseppe la Mattina, Franco Urso, Natale Gambino, Cosimo Vernengo, Salvatore Profeta, e Gaetano Scotto. A smascherare il depistaggio fu la Procura di Caltanissetta che, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, riaprì le indagini sull’attentato ricostruendo le reali responsabilità nell’eccidio della famiglia mafiosa di Brancaccio.
L'avvocato Seminara: nulla sembra essere cambiato rispetto al primo grado
«Prima di aver letto le motivazioni non si può dire che la corte abbia ritenuto responsabili gli imputati. Nulla sembra essere cambiato rispetto al primo grado». Così l’avvocato Giuseppe Seminara, legale dei poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ha commentato la sentenza della corte d’appello di Caltanissetta che ha dichiarato prescritte le accuse di calunnia aggravata contestate ai tre imputati, i poliziotti Mario Bo, Mattei e Ribaudo, in parziale riforma del verdetto di primo grado che per Ribaudo aveva deciso l’assoluzione nel merito ritenendo contraddittorie le prove raccolte a suo carico.