Tre personaggi di spicco della Stidda di Gela, finiscono in carcere. Le loro condanne sono diventate definitive. Si tratta di Giovanni Di Giacomo 52 anni, Alessandro Emanuele Pennata 42 anni e Giuseppe Truculento 56 anni. La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Appello di Caltanissetta. I provvedimenti sono stati eseguiti dalla squadra mobile e dagli agenti del commissariato di Gela. Di Giacomo dovrà scontare la pena residua di 3 anni, 4 mesi e 23 giorni, Pennata 2 anni e 9 mesi e Truculento 11 mesi e 15 giorni. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, rapina, detenzione di armi e droga. I tre rimasero coinvolti nel blitz antimafia Stella cadente, coordinato dalla Dda nissena e condotto dalla squadra mobile e dal commissariato di Gela nel 2019. Fu una delle operazioni più imponenti degli ultimi anni, perché consentì di sgominare un’organizzazione criminale spietata e pericolosa, armata fino ai denti. Dalle indagini emerse che imponevano il pizzo, commettevano rapine, detenevano armi ed erano dediti al traffico e allo spaccio di stupefacenti. Un clan pronto a scatenare una nuova guerra di mafia contro Cosa nostra, per impossessarsi delle attività illecite, mettendo in campo «500 leoni», uomini armati e pronti a impugnare le armi contro il clan rivale. Giovanni Di Giacomo, insieme al fratello Bruno, secondo gli inquirenti, sarebbe stato al vertice dell’organizzazione mafiosa. L’inchiesta ha avuto inizio nel 2014, proprio dopo il ritorno in libertà dei due fratelli, che avrebbero riallacciato le fila di una fitta rete di contatti con sodali, vecchi e nuovi, della stidda gelese, costituendo una doppia anima della consorteria, imprenditoriale e militare, funzionale allo sviluppo di attività criminali nei settori di operatività tipici delle associazioni mafiose che hanno come principale fine il controllo del territorio. Le indagini hanno consentito di fotografare, con particolare evidenza, l’ala violenta del clan, ricostruendo diversi episodi di estorsione ai danni di commercianti e imprenditori, ricorrendo a diversi attentati incendiari e gesti intimidatori diretti a coloro che si opponevano al pizzo. Alcune vittime hanno trovato il coraggio di denunciare le estorsioni . Una consorteria che sarebbe riuscita ad imporre la sua costante presenza sul territorio fino a penetrare stabilmente nel tessuto economico legale avvalendosi d’imprese mafiose, intestate fittiziamente ad altri, dedite alla distribuzione dei prodotti per la ristorazione e di prodotti alimentari, in quello delle serate in discoteca e nel settore immobiliare.