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Rapito per il riscatto, due a processo a Caltanissetta

Il Palazzo di giustizia di Caltanissetta

L’accusa è di aver sequestrato il figlio di un funzionario di polizia iracheno chiedendo poi il riscatto per liberarlo. È la contestazione per cui la procura ha chiesto il loro rinvio a giudizio. E, in udienza preliminare, i due hanno chiesto e ottenuto di essere giudicati con il rito abbreviato, condizionandolo all’audizione di due testi informati sui fatti.
Queste le scelte processuali di Roberto Mantio, 30 anni di Mussomeli, e Massimo Cusin, 64 anni, di origini piemontesi, (assistiti dagli avvocati Giuseppe Dacquì e Ruggero Mancino), mentre un terzo è ancora irreperibile.

La richiesta di rinvio a giudizio è stata avanzata, al gup Graziella Luparello, dal pm Claudia Pasciuti, che ha contestato ai due l’ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione. Il rapito è un giovane iracheno, figlio di un funzionario di polizia nel suo Paese d’origine, al quale sarebbero stati chiesti 460 mila dollari per la liberazione del figlio, attirato a Mussomeli con una proposta di lavoro che poi, in realtà, si sarebbe rivelata una trappola. Lo avrebbero rinchiuso in un’abitazione di Mussomeli, con il pretesto di volergli offrire ospitalità e, invece, una volta arrivati in quella casa lo avrebbero bendato e legato imprigionandolo con una catena di ferro a un gancio che sporgeva dal pavimento. Puntandogli una pistola alla testa lo avrebbero costretto a chiamare il padre, in Patria, perché pagasse il riscatto. Poi i rapitori sarebbero andati via per un po’, minacciandolo anche di morte. Il sequestrato è riuscito a liberarsi da quella catena ed è salito sul tetto dell’abitazione per richiamare l’attenzione di qualcuno, chiedendo aiuto. E, in effetti, in breve sono stati avvertiti i carabinieri.

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