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Hanno protetto una pentita ma il Comune Roma non paga le spese, coop di Caltanissetta protesta

La Etnos ha dato rifugio a madre e figli del clan dei Casamonica

Un momento dell'operazione contro i Casamonica in un fermo immagine tratto da un video dei carabinieri diffuso il 15 aprile 2019. I militari del Comando provinciale di Roma stanno eseguendo 23 misure cautelari, emesse dal gip di Roma su richiesta della procura di Roma, nei confronti di appartenenti alle famiglie Casamonica, Spada e Di Silvio, tra cui 7 donne. ANSA/ LUFFICIO STAMPA++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

Per undici mesi ha protetto una donna appartenente alla famiglia dei Casamonica, insieme ai suoi due figli: vitto, alloggio e sostegno in una casa rifugio gestita dalla cooperativa sociale Etnos di Caltanissetta.

Una missione svolta con riservatezza assoluta e ad alto rischio. Il presidente della cooperativa, Fabio Ruvolo, e i suoi operatori hanno messo da parte ogni pretesa economica per non mettere a repentaglio la protezione della donna. Per mesi non hanno potuto emettere richieste di pagamento, che avrebbero potuto renderla rintracciabile. «Ma a fronte di questo impegno, il Comune di Roma Capitale - che avrebbe dovuto rimborsare le spese - non ha mai versato un solo centesimo. Parliamo di 37 mila euro, diventati quasi il doppio con gli interessi. Eppure il Tribunale ha già condannato il Comune a pagare. Nulla. Quattro tentativi di pignoramento, disposti dall’avvocato Manlio Sortino, sono andati a vuoto: le banche hanno dichiarato l’assenza di rapporti con l’ente, lasciando la cooperativa senza alcuna possibilità di recupero», si legge in una nota della cooperativa.

«Una beffa che diventa umiliazione. L’ultimo periodo di permanenza nella casa rifugio, circa due mesi, è stato coperto soltanto grazie all’intervento straordinario del nucleo operativo di protezione (Nop) del ministero dell’Interno, che ha riconosciuto la delicatezza del caso e si è fatto carico delle spese finali - prosegue la cooperativa - Ma per il resto il peso è rimasto sulle spalle di Etnos, che ha dovuto anticipare somme ingenti senza ricevere alcun ristoro».

La vicenda parte nel 2014, quando Debora Cerreoni, moglie di Massimiliano Casamonica, primogenito del boss Giuseppe detto Bitalo, decide di collaborare con la giustizia. In un primo momento viene collocata a Roma, ma la sua posizione viene scoperta. La Procura decide quindi di trasferirla in un luogo segreto. È qui che entra in gioco la cooperativa nissena, chiamata a garantire accoglienza e protezione. Oggi, a distanza di anni, la donna è in salvo e la sua incolumità non è più a rischio. «Ma Etnos continua a pagare sulla propria pelle. Non si tratta solo di una questione economica: è un colpo all’onore e alla dignità di chi, nel silenzio e lontano dai riflettori, ha fatto il proprio dovere a servizio delle istituzioni e della legalità», aggiunge la cooperativa.

«Abbiamo rischiato molto per tutelare la vita di questa donna e dei suoi figli - dice Ruvolo - Nonostante una sentenza che ci riconosce il diritto al pagamento, non abbiamo visto un euro. È un’ingiustizia che mina la credibilità delle istituzioni. Chiederemo l’intervento del presidente della Repubblica perché una vicenda simile non può passare sotto silenzio. La nostra cooperativa non può vivere di eroismi non riconosciuti. Abbiamo dipendenti da retribuire, spese correnti da sostenere. Non chiediamo privilegi, ma solo il giusto rispetto per il lavoro svolto con dignità e responsabilità».

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