Nel corso della manifestazione «Puliamo il buio», autorizzata dalla Soprintendenza ai beni culturali di Caltanissetta e dal Comune di Sutera, gli speleologi de «Le Taddarite» hanno ritrovato un masso con incisa la «Triplice Cinta», 131 kg di legname, 2 kg di plastica, 5 kg di vetro lattine a altri materiali, 844 kg di terra e 465 kg di pietrame. In totale sono 1447 kg di materiali tirati fuori dagli speleologi e dai volontari del Comune dalla cisterna sotterranea facente parte dell’antico castello della città, ubicata sulla cima di Monte San Paolino. «Come speleologi sentiamo il dovere di effettuare questi interventi di pulizia di ipogei, sia naturali che artificiali; se da un lato siamo tra i pochi in grado di frequentare il sottosuolo in sicurezza, dall'altro è per noi importante, che questi ambienti non vengano degradati», dice Antonio Domante, presidente de «Le Taddarite». «Il masso ritrovato all'interno dell’ipogeo ha natura calcarea; la pietra bianca è molto compatta, semplicemente sbozzata sul retro e levigata sul fronte con l’incisione, quest’ultima certamente di antichissima realizzazione», aggiunge l’architetto Daniela Vullo, direttore della sezione per i Beni architettonici e storico-artistici della Soprintendenza di Caltanissetta». L’incisione potrebbe essere uno degli svariati «segni dei lapicidi» cioè il simbolo che lo scalpellino medievale apponeva sulla pietra lavorata con vari scopi, ad esempio di utilità oppure d’identità. Il simbolo denominato «triplice cinta», costituito da tre quadrati concentrici uniti da intersezioni perpendicolari, tuttavia da vari studiosi è associato all'Ordine dei Templari il cui compito era quello di proteggere i resti del sacro tempio di Salomone a Gerusalemme. Quest’ultima ipotesi, sicuramente più suggestiva della precedente, farebbe pensare alla presenza di una chiesa dei templari nella zona del ritrovamento o limitrofa. «Una scoperta straordinaria per Sutera - dice il sindaco Giuseppe Grizzanti -che va ad avvalorare la tesi che l’antico castello esiste ed era collocato nel pianoro sulla cima del monte San Paolino e che quella che viene comunemente chiamata 'Nivera' era uno dei locali del castello, forse l’unico, che è rimasto quasi intatto».