GELA. Riesplode la protesta, a Gela, contro la crisi occupazionale nell'area industriale della raffineria dell'Eni, dove la riconversione green degli impianti e il rilancio economico tardano a manifestarsi nelle dimensioni che erano state prospettate.
Ieri sera, un nutrito gruppo di lavoratori dell'indotto ha presidiato l'aula consiliare del municipio, durante la seduta del consiglio comunale. L'assise civica ha sospeso i lavori per dare voce ai rappresentanti degli operai che denunciano il ricorso delle imprese appaltatrici di Enimed a manodopera esterna, cioè a personale assunto fuori dal bacino di crisi di Gela. A fronte degli oltre duemila dipendenti del diretto e dell'indotto, espulsi per la chiusura dello stabilimento, finora hanno trovato occupazione solo poche centinaia di unità.
Il consiglio di fabbrica e i sindacati confederali dei chimici e dell'energia, che lamentano ritardi nella costruzione della «green refinery», si sono riuniti, stamani, per deliberare un pacchetto di ore di sciopero da attuare se l'Eni non accetterà il confronto sugli assetti organizzativi e sul rispetto del protocollo d'intesa.
Chiedono in particolare precise garanzie sull'entità degli investimenti concordati, pari a 2,2 miliardi di euro, dopo la decisione dell'azienda petrolifera di realizzare a terra la maxi piattaforma marina «Prezioso K», progettata per mettere in collegamento i giacimenti off-shore «Cassiopea» e «Argo». Si vuole sapere che fine faranno i soldi così risparmiati, che ammonterebbero a circa mezzo miliardo di euro. La proposta sindacale è di spenderli in altri progetti sempre nel territorio di Gela. L'Eni dal canto suo ribadisce di essere in regola con i tempi annunciati e attende di conoscere il documento rivendicativo dei sindacati.
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