Caso Montante, la deposizione del teste chiave Cicero: «Gestiva l'assessorato con Linda Vancheri»
«Linda Vancheri era assessore alle Attività produttive e agiva quale esecutrice di Antonello Montante in quanto sua segretaria particolare. Non era assolutamente adeguata al ruolo di assessore regionale, ma lo diventò perché Montante decise di prendersi l’assessorato, oltre al presidente della Regione, e siccome Rosario Crocetta era nelle sue mani, perché era stato lui l’artefice della sua candidatura, gli disse di nominare Linda Vancheri assessore e lui lo fece, nonostante fosse una senza né arte e né parte. Di fatto l’assessorato lo gestiva Antonello Montante». Lo ha detto l’ex presidente dell’Irsap, Alfonso Cicero, teste chiave e parte civile nel processo sul cosiddetto Sistema Montante, che si celebra col rito ordinario davanti al tribunale di Caltanissetta, rispondendo alle domande del pm Claudia Pasciuti. Nel procedimento sono imputate 22 persone tra imprenditori, esponenti delle forze dell’ordine e della politica. Secondo l’accusa Crocetta aveva nominato nella sua giunta Linda Vancheri e Mariella Lo Bello per assecondare «le richieste e gli interessi di Antonello Montante e Giuseppe Catanzaro». In cambio l’ex presidente della Regione avrebbe ricevuto il sostegno al suo governo da parte di quelli che all’epoca erano i vertici degli imprenditori siciliani. Montante, che all’epoca era considerato il «paladino dell’antimafia», è poi finito agli arresti per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione: contestazione che gli è già costata una condanna a 8 anni in secondo grado nel processo celebrato col rito abbreviato. Nel procedimento ordinario, invece, sono molteplici le contestazioni già cadute per prescrizione. Crocetta, Montante e Catanzaro rimangono imputati per il reato di associazione per delinquere. «L’unica vera iniziativa contro il malaffare e la mafia era quella che avevo condotto io nelle aree industriali - continua Cicero -. Di fatto Antonello Montante non aveva mai fatto una denuncia e tutto ciò che dichiarava sui giornali lo faceva per costruirsi un’immagine di fronte l’opinione pubblica. Le sue iniziative erano tutte farlocche». «Nel 2014 - risponde l’ex presidente dell’Irsap alle domande della pm Claudia Pasciuti - ci fu l’operazione della squadra mobile di Caltanissetta Colpo di Grazia, con l’arresto anche di Salvatore Di Francesco. Tra le accuse che venivano contestate agli appartenenti a Cosa Nostra nissena vi era anche quella di aver pilotato alcuni appalti del consorzio Asi di Caltanissetta per mano di Di Francesco. Da quel momento, dal 13 marzo fino al 16 settembre, inviai le notizie che apparivano sui giornali a diversi amici. Le mandavo a Montante, a Linda Vancheri, a Marco Venturi, a diverse persone. Nel frattempo Montante e Lo Bello andarono in commissione antimafia, siamo a giugno del 2014. Nessuno dei due - aggiunge Cicero - fece cenno a quell’importante operazione. Venni chiamato a mia volta dalla commissione antimafia e feci una sintesi di ciò che avevo fatto nelle varie aree industriali della Sicilia e, per ciò che riguarda Caltanissetta, mi soffermai su quella operazione e su Di Francesco, che era stato dipendente dell’Asi. Intanto Montante cominciò a denunciare pubblicamente che Cosa nostra voleva vendicarsi di lui per la sua azione di legalità. E cominciò a minacciare denunce contro tutti coloro che potevano screditarlo. Sempre nel luglio 2014 uscì la notizia della decisione di Di Francesco di collaborare con la giustizia. Montante mi disse che sul pentimento di Di Francesco un ruolo ce lo avevano avuto l’imprenditore Pietro Di Vincenzo e i suoi pseudolegali». L’imprenditore nisseno Pietro Di Vincenzo è stato presidente degli industriali di Caltanissetta e vicepresidente di Confindustria Sicilia, è stato indagato per concorso in associazione mafiosa, nel 1992, e prosciolto. Poi è stato assolto nel 2009 dalla Corte d’Appello di Roma in un’inchiesta che coinvolse la cosca Rinzivillo di Gela.