La «terribile storia» dei frati di Mazzarino, una vicenda di cronaca giudiziaria che 60 anni fa appassionò l’opinione pubblica, finisce per sempre in archivio. I frati cappuccini non ci sono più. Al loro posto solo 4 monache . «Mancanza di vocazioni» è l’unica giustificazione che trapela dalla curia, come racconta Asud’Europa, la rivista del Centro Pio La Torre. La fine di un’epoca e di una vicenda controversa.
Girando per i corridoi del convento si ha l’impressione di rivivere gli ambienti descritti da Umberto Eco nel romanzo «In nome della rosa“: affreschi di oltre trecento anni fa; libri catalogati con certosina cura, con la polvere che sembra preservarli dal male. Lì in quei corridoi, in quelle stanze, in quel cortile, poco più di sessant’anni fa tutto sembrò essere travolto dallo scandalo. Quattro frati, che in quel convento vivevano, vennero ammanettati con accuse pesantissime: associazione a delinquere, estorsioni, omicidi e tentati omicidi. «La terribile istoria dei frati di Mazzarino» come titolò Giorgio Frasca Polara il suo libro pubblicato da Sellerio.
Padre Venanzio, padre Agrippino, padre Carmelo e padre Vittorio, vennero arrestati dopo che una guardia municipale di Mazzarino, Giovanni Stuppia, li denunciò sostenendo di essersi ribellato a una richiesta estorsiva. Una sera mentre rincasava gli spararono due revolverate alle gambe. Probabilmente lo credettero morto, ma l’uomo si trascinò sanguinante sino alla caserma dei carabinieri. Ai militari raccontò ogni cosa e fece i nomi dei frati ai quali avrebbe dovuto consegnare il denaro. Accusò anche l’ortolano del convento, Carmelo Lo Bartolo, e tre complici, Girolamo Azzolina, Giuseppe Salemi e Filippo Nicoletti. Quella notte stessa, il 5 maggio del 1959, furono arrestati tutti, tranne l’ortolano, poi risultato il cervello della banda, che riuscì a fuggire. Venne acciuffato qualche tempo dopo a Ventimiglia, con venti milioni di lire in tasca, mentre stava per acquistare una villa. Lo trovarono impiccato nella sua cella del carcere di Caltanissetta il giorno prima di essere interrogato al processo. «Me lo hanno suicidato perché non riuscisse a raccontare la verità» dichiarò la vedova.
Il primo processo si concluse il 22 giugno del 1962: trent’anni per Azzolina e Salemi; 14 per Nicoletti; assoluzione per i quattro frati (per non avere commesso il fatto il primo e per avere agito in stato di necessità gli altri tre). Undici mesi dopo il processo di appello. Il 6 luglio uscì la sentenza: confermate le condanne emesse in primo grado e condannati anche i frati Venanzio, Agrippino e Carmelo a 13 anni, assolto frate Vittorio. Il 10 febbraio del 1965 la Cassazione annullò tutto, ordinando un nuovo processo. Nel frattempo padre Carmelo era morto. Quarto procedimento nel 1966 a Perugia. In quella occasione i due frati (Venanzio ed Agrippino) furono condannati ad otto anni e la corte diede 14 anni a Nicoletti, 24 ad Azzolina e 17 a Salemi. Il 30 settembre del 1967 la sentenza definitiva della Cassazione. Frate Agrippino e frate Venanzio che erano liberi si costituirono poco dopo. Tra condoni e buona condotta furono scarcerati il 5 luglio del 1969, definitivamente liberi.
Il convento di Mazzarino, sul quale continuò per anni ad aleggiare quella fama sinistra, fino a poco tempo fa ospitava ancora i frati cappuccini. Il priore, frate Deodato, non accettò mai il verdetto dei giudici. «Quei frati non sono stati dei criminali ma dei santi...» ripeteva mostrando un piccolo libretto dal titolo «In carcere con la Madonna», un diario scritto in cella da padre Venanzio. Dopo dieci anni dalla morte la salma venne riesumata e aperta la cassa il cadavere di frate Venanzio apparve ancora intatto, come se dormisse. Un «santo», come le definirono i suoi confratelli, o un «diavolo» come lo dipinsero le cronache giudiziarie?
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