CANNES. Ormai da decenni il cinema di Tony Gatlif ruota intorno a un mondo di cui si è eletto cantore e protettore, quello dei gitani e degli zingari. Nato in Algeria, emigrato a Parigi dove Michel Simon gli fece da pigmalione introducendolo alla recitazione e poi al cinema, appartiene con orgoglio lui stesso alla grande famiglia degli apolidi zingari. Così ancora una volta ne narra il destino di segregazione e la segreta poesia in Geronimo, il film che oggi Cannes presenta fuori concorso. Geronimo è in realtà il nomignolo di un'istitutrice che lavora nelle periferie degradate del sud della Francia, sforzandosi di dialogare con le comunità immigrate e di mantenere la pace nella comunità Un compito troppo più grande di lei quando Nil Terzi, ragazza turca già destinata dalla famiglia a un matrimonio tra consanguinei fugge con un ragazzo gitano Lucky Molina. I due clan vengono così a contatto e ciò che all'inizio sembra una colorita rissa di quartiere presto si trasforma in un pericoloso focolaio di intolleranza. Gatlif fotografa questo mondo pittoresco e che la Francia profonda finge di ignorare con tutto l'entusiasmo vitale del suo cinema, rumoroso, caotico, passionale. La storia di Giulietta e Romeo rivive così con la sua poesia e la sua tragedia in panni moderni. Ma il fascino del film sta nella descrizione di due comunità che difendono ferocemente le proprie tradizioni e identità e che solo a fatica trovano voce e spazio nel nostro mondo apparentemente ordinato e indifferente.
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