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Battiato e il suo nuovo docu-film sulla morte come «opportunità»

PALERMO. «Tranquilli, la morte non esiste, è solo un varco verso un'altra dimensione». E per dar ragione a Franco Battiato basta ascoltare le parole di un giovane monaco rinpoche, Lama Khanser: «Quando nasce un bambino, egli piange e tutti attorno a lui ridono. Quando muore un lama rinpoche, tutti quanti piangono e lui sorride». Lo ha intervistato in Nepal, Battiato e quel colloquio è parte del suo docu-film Attraversando il Bardo, girato tra il Nepal e la Sicilia, sui Nebrodi e nel Trapanese, e presentato domenica a Palermo dall'autore, dalla monaca buddista Ciampa Tsomo e dall'attrice Cristina Coltelli.
Battiato: «I monaci tibetani sono gli unici che sanno descrivere cosa c'è dopo la morte». Secondo il buddismo tibetano, morendo si abbandona il corpo e si sperimenta una fase intermedia in attesa della nuova incarnazione. E in questa fase chiamata bardo - il Bardo Thodol, conosciuto come Il libro dei morti tibetani è il testo più noto della letteratura tibetana - risiedono le anime nei 49 giorni successivi alla morte. Il film ha un'anima palermitana: «Un signore di Palermo mi ha fatto sapere di essere disposto a finanziare un mio film, ho accettato subito. È un regalo che ha voluto fare a sua figlia, che nel documentario ha un ruolo».
E la figlia è la Coltelli, la donna-Arlecchino del balletto iniziale: «Con la danza - dice - la morte rimane presa nel turbinio vitale di Arlecchino mentre Arlecchino si porta via la falce: per un po’ la morte muore». La morte come dono, i tanti modi di morire: «È l'argomento rimosso dei nostri tempi, eppure la morte non è fine, non è inizio, ma passaggio, ti fa fare i conti con quel che hai fatto e, se ti sei comportato in modo non adeguato alla tua condizione, la paghi reincarnandoti in esseri appartenenti a qualche regno inferiore a quello umano. Ho parlato con saggi d'Oriente e d'Occidente, asceti, psicologi. Ho ascoltato un frate che crede nella reincarnazione e ho incontrato tre Lama nel monastero di Parphing: per loro morire è un'opportunità».
Manlio Sgalambro, noto ateo, legge delle riflessioni, lo stesso fa Alba Rohrwacher prima dei titoli di coda, mentre noti scienziati mostrano, come i mistici, a non aver più remore sull'immortalità dell'anima, in un curioso sincretismo tra religiosità e Illuminismo. La monaca Ciampa Tsomo raccomanda «una mente libera e non rabbiosa, non ottusa, quando arriva il momento fatale». Ancora un distillato di Battiato: «Siamo impermanenti, dobbiamo abituarci a questo, ma una vita vissuta secondo criteri di rispettosa libertà, con coscienza, e generosità non sarà mai sprecata».

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