VENEZIA. «Non mi piacciono le produzioni playstation, ma i film indipendenti americani come American Life di Sam Mendes», dice Carlo Verdone parlando dei suoi gusti cinematografici. Anche se, come componente della giuria di Venezia 71, terrà conto solo «dei lavori che mi colpiscono, mi emozionano, ma, se ci sarà da difendere i film italiani, sarò in prima linea». Così il regista e attore romano alla presentazione della giuria della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia composta dal presidente, il musicista Alexandre Desplat; Joan Chen, attrice e regista cinese; Philip Groening, regista; Jessica Hausner, regista; Jhumpa Lahiri, scrittrice statunitense di origine indiana; Sandy Powell, costumista inglese; Tim Roth, attore inglese, e Elia Suleiman, regista palestinese.
E ancora Verdone, che riceverà quest'anno il Premio Robert Bresson: «Quello che mi piace del partecipare alla giuria è il fatto di incontrare personalità di altri paesi con le quali fare, in caso, anche amicizia. Una cosa del tutto positiva». Presenti alla conferenza stampa il presidente della Biennale Paolo Baratta e il direttore artistico Alberto Barbera. Barbera,
a inizio incontro stampa, ha ricordato come vadano aggiunte idealmente in giuria due sedie vuote, ovvero quelle di due artisti perseguitati dai rispettivi paesi: la regista iraniana
Mahnaz Mohammadi, che da anni lotta per il riconoscimento dei diritti delle donne nel suo paese, «arrestata dalle autorità locali il 7 giugno 2014 per la quarta volta dal 2007. La regista è stata condannata a cinque anni di prigione con l'accusa di aver messo in pericolo la sicurezza nazionale e per propaganda contro il governo iraniano». E poi il regista ucraino Oleg Sentsov, «arrestato lo scorso 11 maggio dai servizi di sicurezza russi, accusato di aver compiuto atti terroristici, dai quali si dichiara completamente estraneo. Il regista è stato portato a Mosca, dove è detenuto in attesa del processo». Il presidente di giuria Desplat, dopo aver ribadito, rispondendo a un giornalista, che non è poi così strano che un musicista sia presidente di giuria, ha affermato: «Per me il cinema è un modo per scoprire mondi nuovi e punti di vista diversi». Da Barbera, infine, nella risposta a un giornalista belga, la sua visione dei festival del futuro: «È sicuramente cambiata la situazione internazionale. I festival - dice - non sono più la prima opzione per la diffusione di un film. Basti pensare all'ultimo film di Nolan (Interstellar) o a quello di Tim Burton (Big Eyes) che andranno direttamente in sala. Insomma c'è ancora la sala, ma il pubblico si muove ormai anche su altre piattaforme come internet che sarà molto probabilmente il futuro. Insomma chi fa i festival non deve fare a gara nel mostrare i muscoli con le proprie anteprime internazionali, ma solo cercare di promuovere i registi più meritevoli».
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