CALTANISSETTA. È il pomeriggio del 17 luglio dello scorso anno quando il ventitreenne Daniele Condorelli chiede di parlare in carcere con i magistrati. Siede dinanzi il pm della Dda nissena Giovanni Di Leo. È fresco di coinvolgimento nella maxi inchiesta su estorsioni, furti, incendi, droga e danneggiamenti che ha inglobato i dossier "Cobra 67", "Figaro" e "Giro di vite". Lui, ribattezzato "Lupin", nonostante la sua giovanissima età ha già alle spalle diverse grane giudiziarie per furto. E per questa ragione ha rimediato più di un arresto. Ma quel pomeriggio d'estate dell'anno scorso, all'interno della casa circondariale Malaspina accanto a lui siedono gli avvocati Vania Giamporcaro e Luca Guglielmotto.
E il giovane manifesta al magistrato la volontà di intraprendere un nuovo percorso. Fatto di collaborazione con la giustizia. Prima di allora aveva reso qualche dichiarazione spontanea alla polizia giudiziaria, ma nulla più. Alcuni segnali, in precedenza, lo avrebbero in qualche intimorito e indotto a voltare pagina. "Stavo salendo in tribunale - riferendosi a una sua presenza al processo legato alla maxi indagine - m'hanno fatto il gesto... mentre ero nelle cellette giù al tribunale , quando mi hanno chiamato sono salito per primo". A quel punto avrebbe ricevuto una sorta di avvertimento durante quell'incontro, in tribunale, con i fratelli Ferrara. Perché tutti imputati nello stesso procedimento. "Quando mi hanno chiamato - ha proseguito nel suo racconto il collaboratore di giustizia - sono salito per primo. Loro tre erano lì dentro e uno, Ivan, mi ha guardato e mi ha fatto il gesto con la mano... mi ha fatto il segnale con la mano sotto la gola".
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