CALTANISSETTA. Ha 37 anni e un passato da killer nel clan camorristico Iacomino-Birra di Ercolano. È lui il pentito di Camorra che sta svelando nuovi retroscena legati alle stragi del 1992, quella di Capaci e quella di via D’Amelio. Si chiama Francesco Raimo ed è indicato dagli investigatori partenopei come «elemento di spicco del gruppo di fuoco, specializzato nelle spedizioni punitive contro esponenti del clan avversario».
Tre anni fa, in Appello, gli confermarono la pena dell’ergastolo per avere ucciso un affiliato del clan rivale, ammazzato davanti alla moglie e al figlioletto di due anni sull'uscio di casa ad Ercolano. Un omicidio che «fece un altro morto». Il suocero della vittima, poche ore dopo l’agguato morì di crepacuore.
Fu probabilmente quella condanna all’ergastolo a fargli maturare l’idea di pentirsi, ma attese un anno e mezzo prima di decidersi a compiere il salto. Ai magistrati di Napoli chiese di parlare nel gennaio del 2013. Cominciò a riempire verbali su verbali. E tra le sue dichiarazioni anche qualcosa che ha fatto andare «in missione» i magistrati di Caltanissetta, che sulle stragi di Cosa nostra nelle quali morirono, tra gli altri, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, stanno indagando.
Il procuratore capo Sergio Lari è di poche parole. Aveva affermato, all’indomani dell’interrogatorio, che si è svolto in una località segreta martedì scorso, che «il collaboratore ha reso interessanti dichiarazioni». Ieri non ha aggiunto molto, ha solo detto che «il giudizio del suo ufficio su quanto dichiarato dal collaborante è un giudizio molto positivo».
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