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Lari: "Ruoli divisi e operazioni segrete, così la mafia evita fughe di notizie"

Il procuratore dopo le quattro condanne per la strage di Capaci: la sentenza è una vittoria, non ci fuorono mandanti esterni

PALERMO. Cosa nostra aveva paura di fughe di notizie e di possibili future collaborazioni, per questo motivo decise di compiere la strage di Capaci in maniera del tutto nuova rispetto al passato. Una organizzazione divisa in «compartimenti stagni» per evitare delazioni e «salto del fosso» degli affiliati. Una organizzazione divisa fra i vari mandamenti, con compiti ben precisi e delineati, e tra di loro distanti e senza nessun apparente collegamento. Per la strage si è già celebrato un processo, ma ve ne sono due nuovi: uno concluso ieri in «abbreviato», l’altro ancora in corso. Due nuovi processi scaturiti dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza prima e Fabio Tranchina subito dopo. Due uomini d’onore della cosca di Brancaccio, dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Due uomini d’onore i quali hanno «rivoltato» le verità processuali, soprattutto per la strage di via D’Amelio, facendo scoprire falsi pentiti, e indicando invece altri presunti responsabili per la strage di Capaci.

Il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari ha definito «una vittoria» la sentenza di ieri aggiungendo che: «La impostazione accusatoria ha retto al vaglio del giudicante». Un processo quello concluso ieri mattina che ha di fatto rimarcato una tesi sottolineata dallo stesso procuratore Lari, ovvero che: «Non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall'inchiesta non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell'inchiesta sull'eccidio di via D'Amelio: ma in questa indagine non si può parlare di mandanti esterni».

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