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"Tangenti per la diga di Gela": il caso in Cassazione

CALTANISSETTA. Loro, condannati per presunte tangenti per un grosso appalto pubblico, chiedono un nuovo processo. Nel tentativo di scrollarsi di dosso l’affermazione di colpevolezza rimediata al termine dell’appello. Quando i due fratelli sono stati condannati. Esattamente come in primo grado. Il nuovo atto è degli imprenditori Luigi e Ferdinando Masciotta (difesi dagli avvocati Giacomo Butera e Giovanni Di Benedetto) che nei primi due procedimenti subiti ne sono usciti con la pena a un anno e otto mesi ciascuno perché ritenuti responsabili di corruzione aggravata.

Reato contestato a loro carico perché sospettati di avere versato una mazzetta da centomila euro a un funzionario del genio civile per la rimodulazione di costi di una gara che i due si erano aggiudicati. Un appalto da una cinquantina di milioni di euro per la realizzazione della diga Disueri di Gela. E i due Luigi e Ferdinando Masciotta, sono rispettivamente presidente e amministratore delegato della società «Safab» che quella gara se l’è aggiudicata. Ma per un contenzioso con il Consorzio di bonifica di Gela, da momento dell’aggiudicazione all’avvio dei lavori sarebbero trascorsi parecchi mesi per via di un contenzione che s’era aperto tra le parti. E a quel punto, secondo la tesi accusatoria, i due imprenditori avrebbero tentato di ottenere un aumento dell’importo a base d’asta. Da qui, è stata l’ipotesi dei magistrati già condivisa da giudice di primo grado e corte d’Appello, l’accusa di avere versato una tangente a funzionario dell’ufficio del genio civile, già a sua volta ritenuto responsabile di corruzione. Ma dei centomila euro stabiliti ne sarebbero stati versati soltanto ventimila.

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