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Assunti come vittime di mafia, "ma furbetti del cartellino": tre fratelli di Gela accusati di truffa

La guardia di finanza avrebbe accertato che i tre, due uomini e una donna, si assentavano continuamente da lavoro

GELA.  Vittime di mafia ma "furbetti" del cartellino. Secondo la guardia di finanza che, ha indagato per settimane su di loro, con appostamenti e pedinamenti, sono tre fratelli di Gela (una femmina e due maschi) figli di un commerciante di macchine agricole, incensurato, esponente della DC, ucciso a colpi di pistola dai killer della "Stidda" nel febbraio del 1989, davanti a un bar del quartiere Macchitella, durante la guerra di mafia. L'unica sua colpa era quella di essere fratello del socio di Giuseppe "Piddu" Madonia (boss di Cosa Nostra) nella ditta di movimento terra "Poma".

Anche il fratello era stato assassinato dagli "stiddari", in casa, assieme alla moglie e a due figlie, nella strage del 12 dicembre del 1988. I figli superstiti del commerciante furono assunti dalla Regione Sicilia in virtù della legge n.20/99 e assegnati alle sedi periferiche: la femmina, oggi 47enne, al "centro per l'impiego" di Gela; i due maschi, rispettivamente di 40 e di 31 anni, alla sezione operativa gelese di assistenza tecnica per l'agricoltura (Soat).

Le fiamme gialle, nel 2012, avrebbero accertato che i tre fratelli e una quarta persona della Soat, per motivi personali, si assentavano continuamente dal lavoro a volte arbitrariamente a volte con permessi (scritti o verbali) che prevedevano il recupero delle ore non prestate. Recupero che però non sarebbe avvenuto quasi mai. Da qui, nel 2015, l'accusa formulata nei loro confronti dal pm, Elisa Calanducci (nel frattempo trasferita ad altra sede), che ne ha chiesto il rinvio a giudizio per falso e truffa in danno della pubblica amministrazione.

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