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A Gela cittadinanze onorarie a tre persone per lotta alla mafia

Domenico Messinese

GELA. «I mafiosi dovrebbero inginocchiarsi e chiedere perdono a questa città per il danno che le hanno fatto». Con queste parole, pronunciate dal vice prefetto di Caltanissetta, Gabriele Barbaro, nell’aula consiliare del comune di Gela, è stata aperta la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria al colonnello dei carabinieri, Mario Mettifogo, al testimone di giustizia, Antonino Miceli, commerciante, e all’imprenditore, Salvatore Moncada, per il loro impegno nella lotta alla mafia. A consegnare gli attestati il sindaco, Domenico Messinese, e il presidente del consiglio comunale, Alessandra Ascia.

Mettifogo ha ricordato gli anni difficili del suo comando (dall’89 al 93) per la guerra tra Stidda e Cosa nostra, a Gela come nel resto della Sicilia, e la scoperta del libro-mastro del racket, con nomi e soprannomi di quanti pagavano il pizzo alle cosche e i compensi mensili ai «picciotti».
«Quel ritrovamento, dopo l’uccisione del profumiere, Gaetano Giordano - ha detto Mettifogo, oggi comandante provinciale ad Agrigento - riuscì a risvegliare la coscienza di commercianti e imprenditori che cominciarono a denunciare i loro estorsori». Particolarmente «emozionato e fiero di questo riconoscimento».

Miceli, ex commerciante di automobili, è costretto a vivere lontano da Gela, sotto protezione, con la sua famiglia dopo aver denunciato autori e mandanti della distruzione del suo autosalone. Moncada, imprenditore del settore energia, ha raccontato che, nel 2004, dopo aver fatto arrestare i suoi estorsori, si chiese, preoccupato, davanti ai suoi familiari, se aveva fatto bene a compiere quel gesto. Il figlio gli avrebbe risposto con queste parole: «papà, io mi sarei vergognato se tu non l’avessi fatto».

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