Beni in odor di mafia. Ora come allora così li hanno ritenuti i giudici che hanno consentito allo Stato di posare ancor più le mani su un patrimonio in precedenza appartenente a un boss di Montedoro – com’è stato etichettato – e che per i magistrati sarebbe frutto di attività illecite. E anche in appello è stato confermato il precedente verdetto con cui il tribunale un anno addietro ha disposto il sequestro di un tesoro da un milione e mezzo di euro e anche più.
Nulla è mutato adesso, dopo il passaggio al cospetto della corte d’Appello, per gli averi sessantanovenne di Montedoro, Nicolò Falcone (assistito dall’avvocato Diego Guadagnino) ritenuto dagli inquirenti rappresentante della famiglia di Cosa nostra di Montedoro. Tutto ciò che possedeva insieme alla moglie, Anna Di Raimondo – e di cui ne avevano chiesto la restituzione - è rimasto saldamente «requisito».
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