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Strage di Capaci, pentito: "Era guerra allo Stato". Processo bis a rischio

La strage di Capaci

«Si doveva fare la guerra allo Stato, a partire dai magistrati. L’esplosivo era contenuto all’interno di due bidoni utilizzati per le olive ed era morbido. Lo abbiamo trasportato con una Fiat Uno bianca. Siamo arrivati a Termini Imerese e abbiamo lasciato l’auto in un rifornimento. I telecomandi li abbiamo consegnati quindici giorni prima della strage di Capaci». A dirlo il pentito Maurizio Avola, al secondo processo sulla strage di Capaci in Corte d’Assise d’Appello a Caltanissetta.

Un procedimento che potrebbe ripartire da zero. Su esso infatti, incombe la decisione degli imputati Salvatore Madonia e Vittorio Tutino di presentare istanza di ricusazione nei confronti del presidente della Corte Andreina Occhipinti e del giudice a latere, gli stessi che il 15 novembre hanno emesso la sentenza del «Borsellino quater» che ha condannato i due all’ergastolo.

In attesa di dirimere questo punto cruciale, restano le affermazione del pentito Avola, secondo cui il clan Santapaola era contrario alle stragi, ma non si potevano opporre all’alleanza con i corleonesi: «Il programma stragista cominciò nell’aprile del 1991 quando fu deliberato l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Fu deciso dai capi mandamento durante una riunione a Trapani.

Una vera e propria strategia della tensione che doveva essere segnata da una catena di omicidi. Marcello D’Agata era contrario alle stragi e mi sconsigliò di parteciparvi, ma non voleva dire di no ad Aldo Ercolano. Anche Vito Santapaola sapeva che portavo l’esplosivo a Termini Imerese». In precedenza aveva sostenuto che nel '92 gli fu presentato «un esperto di esplosivi come appartenente alla famiglia mafiosa americana di John Gotti. Aveva la tipica parlata italo-americana. Era elegante e alto circa un metro e 80. Doveva spiegarci come si preparava un esplosivo e ci disse come piazzarlo, come ottenere le frequenze giuste e come si utilizzava il detonatore. Avrebbe dovuto partecipare alla strage di Capaci».

E’ toccato poi all’altro pentito, Pietro Riggio, ex agente penitenziario che ha parlato di un poliziotto: «Ho conosciuto Giovanni Peluso nel 1999 quando ero detenuto a Santa Maria Capua Vetere. Proprio in quel periodo di detenzione ho conosciuto diversi ex appartenenti alle forze dell’ordine. Tra loro anche un certo Giuseppe Porto. So che entrambi hanno avuto rapporti con i servizi segreti e Peluso ha fatto parte del Sismi. Recentemente, a dieci anni dall’inizio della sua collaborazione, Riggio ha rivelato ai magistrati nisseni che Peluso avrebbe preso parte alla strage di Capaci. Nel corso di un confronto, il poliziotto ha smentito il collaboratore di giustizia: «E' tutto falso. Dal 2000 che non ho rapporti con Riggio. Lo escludo al 100%. Non potevo esserci. Stavo al corso per sottufficiali. Come facevo ad andare a Capaci?». Prossima udienza il 29 novembre.

(AGI)

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