La Cassazione blinda il verdetto e congela cinque condanne già sancite in appello. Quelle legate a uno dei tronconi della maxi inchiesta «Kalyroon» della Squadra mobile su mafia, droga e prostituzione. Che, nella sua globalità, nel marzo di cinque fa, ha fatto scattare poco meno di una ventina (diciotto per l'esattezza) di provvedimenti cautelari.
Per cinque di loro, tra ha chi ha scelto poi di essere giudicato con il rito abbreviato, adesso la Suprema Corte ha apposto il definitivo sigillo al verdetto. E, nel concreto, li ha inchiodati tutti alle loro responsabilità. Ora sono divenute definitive le condanne- seguendo un ordine secondo entità della pena - a carico del quarantenne Angelo Giumento con 6 anni contro dieci anni e sette mesi; del quarantasettenne Vincenzo Scalzo che in appello s'è visto infliggere 5 anni e 10 mesi, mentre erano in precedenza dieci anni e sette mesi; del quarantacinquenne Pietro Mulone con 4 anni di reclusione, sempre in continuazione, contro undici anni e quattro mesi; del cinquantottenne Salvatore Cordaro che ha rimediato 3 anni e 8 mesi - erano undici anni e tre mesi in appello - in continuazione con altre sentenze di mafia risalenti al primi anni duemila e, chiude il quadro, il cinquantaduenne Vincenzo Ferrara che ne è uscito con 3 anni in prosecuzione a fronte dei precedenti dieci anni e sette mesi.
Questo il verdetto emesso dalla Corte del Palazzaccio di Roma che ha rigettato i ricorsi presentati dai cinque imputati (assistiti dagli avvocati Giuseppe Dacquì, Davide Anzalone, Dino Milazzo, Sergio Iacona, Calogero Vinci e Salvatore Daniele). A loro sono state contestate le imputazioni, a vario titolo, di associazione mafiosa aggravata dall'essere armata, traffico di stupefacenti, prostituzione anche minorile, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.
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