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Mafia, chiesto per Matteo Messina Denaro l'ergastolo per le stragi del '92

L'identikit di Matteo Messina Denaro

Chiesto «l'ergastolo aggravato per le stragi» per il latitante Matteo Messina Denaro. L'uomo è accusato di essere uno dei mandanti degli attentati mafiosi di Capaci e via d’Amelio. La richiesta, aggravata dall’isolamento diurno per 18 mesi, è stata pronunciata - al termine della requisitoria lunga ventisei ore e argomentata in otto udienze - dal procuratore aggiunto Gabriele Paci ai giudici della Corte d’Assise di Caltanissetta presieduta dal giudice Roberta Serio.

La strategia avrebbe avuto inizio nell’autunno del 1991, quando le sorti del Maxiprocesso sembravano definite verso la conferma delle condanne. Un piano discusso durante le riunioni ad Enna e quelle successive durante le festività natalizie di quell'anno.

Secondo il pm Paci, in quei mesi, sia Mariano Agate (capo del mandamento di Mazara del Vallo) che don Ciccio Messina Denaro (padre dell’attuale latitante) avrebbero fatto un passo indietro, sottraendosi alla pianificazione delle Stragi, senza però rifiutare formalmente il piano di Riina.

«Dire a Riina anche un sì, poco convinto, sarebbe significato la morte», ha evidenziato Paci. «Conta poco dire se il consenso di Messina Denaro fu ad Enna, pochi giorni prima, pochi giorni dopo, se risale a Castelvetrano, questo conta poco, perchè in quel periodo lui diede il suo assenso come rappresentante provinciale, diede un assenso informato».

Il 30 gennaio 1992 la Cassazione confermò la sentenza sul Maxiprocesso e il giorno seguente Agate informò Riina che si sarebbe consegnato, mentre don Ciccio Messina Denaro si ritirò a vita privata a causa di una malattia prima di diventare latitante.

A febbraio ci fu il tentativo di aggiustare il processo per l’omicidio del capitano Emanuele Basile, una sorta di emanazione del Maxiprocesso, in cui erano imputati i principali capimafia, attraverso il notaio Pietro Ferraro, operativo della massoneria.

Pochi giorni dopo ebbe inizio la cosiddetta 'missione romana' per uccidere Giovanni Falcone e Claudio Martelli nella capitale, fin quando Riina decise che l’esecuzione della strage di Capaci sarebbe stata affidata al gruppo di Giovanni Brusca. «Se succede qualcosa parla con i picciotti», disse Riina a Brusca, riferendosi a Messina Denaro e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Il ruolo di Messina Denaro si ripropose anche per la strage di via d’Amelio, contribuendo a fidelizzare le «voci dissidenti» dentro Cosa nostra, autorizzando anche l’omicidio di Vincenzo Milazzo, ucciso il 14 luglio 1992 per essersi rifiutato di uccidere il magistrato Paolo Borsellino.

Messina Denaro, ha detto Paci, nel processo al padrino di Castelvetrano, «fu il primo a partecipare ai tentativi di uccidere Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, nemici storici di Cosa nostra». La decisione di uccidere i due giudici n"on fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza - ha aggiunto il magistrato - dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa nostra di continuare nel proprio intento: anzi, piu che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese». Insomma, il latitante «è il frutto marcio di ciò che fu Totò Riina, è stato un membro della commissione regionale, ha partecipato alla deliberazione di morte e all’esecuzione di fatti eccellenti collegati a quella decisione».

Messina Denaro è già stato condannato all’ergastolo per le Stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano in cui morirono dieci persone e non era mai stato processato per le bombe che causarono la morte dei magistrati Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e otto agenti delle scorte. «Messina Denaro è stato un mafioso che ha rinunciato a qualsiasi spazio vitale di autonomia sapendo che era l’inevitabile dazio da pagare per la sua ascesa dentro Cosa nostra, carriera - ha proseguito il pm - che Riina favorì, nominandolo reggente della provincia di Trapani».

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