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La strage di via D'Amelio e il depistaggio, il pm: «Rapporti inquietanti fra procura e servizi segreti»

È iniziata la requisitoria del pm Maurizio Bonaccorso, applicato al processo sul depistaggio delle indagini sull'eccidio del 19 luglio 1992

La strage di via D'Amelio

«Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada». È iniziata così la requisitoria del pm Maurizio Bonaccorso, applicato al processo, all’udienza del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. «C’è un incontro che avviene il 20 luglio – ha continuato Bonaccorso – all’indomani della strage, in cui c’erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull’agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali».

Nel processo sono imputati, dinanzi alla Corte d’appello presieduta da Giovanbattista Tona, i poliziotti, ex appartenenti al gruppo di indagine Falcone Borsellino, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

Sono accusati di aver imbeccato l’ex falso pentito Vincenzo Scarantino per costruire una falsa verità sulle stragi. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato». Bruno Contrada venne arrestato con l’accusa di concorso in associazione mafiosa il 24 dicembre del 1992. In primo grado fu condannato a 10 anni, ma la sentenza fu ribaltata in appello e il funzionario venne assolto.

«Non c’era nessuna buona fede. La Squadra Mobile e Arnaldo La Barbera quando si rapportarono a Salvatore Candura sapevano benissimo che quest’ultimo non c’entrava nulla con il furto della Fiat 126. E poi perché un soggetto che viene arrestato per violenza sessuale comincia a parlare di fatti così gravi autoaccusandosi di avere avuto un ruolo nella strage? Al 5 settembre del 1992 c’è un solo dato di cui dispone la Squadra mobile ed è la conversazione di Pietrina Valenti con la cognata, cioè la pista investigativa si basava sul nulla. Buona fede non ce n’era – ha aggiunto Bonaccorso – si stava spingendo Candura ad autoaccusarsi del furto della Fiat 126. Gli dicevano guarda che se non collabori ti becchi l’ergastolo, guarda che se collabori invece starai bene, con la tua famiglia. Poi a un certo punto siccome non ne vuole sapere viene picchiato».

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