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Il depistaggio sulla strage di via D’Amelio, la corte d’appello in camera di consiglio

Imputati di calunnia tre poliziotti del pool di La Barbera

La strage di via D'Amelio

La corte d’appello di Caltanissetta si è ritirata in camera di consiglio per decidere il processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque poliziotti della scorta. Imputati di calunnia, aggravata dall’aver favorito Cosa nostra, tre poliziotti del pool che indagava sugli attentati mafiosi del 1992: il funzionario Mario Bo, l’ispettore Fabrizio Mattei e l’agente Michele Ribaudo. Per Bo l’accusa, rappresentata dal pg Gaetano Bono e dal pm Maurizio Bonaccoro, applicato dalla Procura, ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi, per Mattei e Ribaudo a 9 anni e sei mesi. In primo grado il tribunale, escludendo l’aggravante mafiosa, ha dichiarato prescritto il reato di calunnia contestato a Mattei e Bo e ha assolto Ribaudo.

Secondo l’accusa, sotto la direzione dell’ex capo della Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, nel frattempo deceduto, i tre poliziotti avrebbe creato a tavolino una falsa verità sull’eccidio costringendo Vincenzo Scarantino, piccolo delinquente della borgata Guadagna, a dare una ricostruzione non veritiera della fase preparatoria dell’attentato e ad accusare mafiosi che con l’autobomba di via d’Amelio non c’entravano nulla.

«Un tradimento da parte degli apparati dello Stato che non può essere perdonato» , ha detto il procuratore generale Fabio D’Anna al termine della requisitoria.

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