GELA. A distanza di un anno i lavoratori del diretto e dell’indotto della Raffineria Eni potrebbero tornare a organizzare nuovi blocchi stradali. Alla base della protesta i ritardi accumulati per l’attuazione del protocollo siglato il 6 novembre scorso al Mise (Ministero per lo Sviluppo economico) che prevede un investimento da 2,2 miliardi di euro per l’estrazione di gas, on e off shore, la riconversione della fabbrica in green refinery e il mantenimento occupazionale. Sono ferme al palo anche le misure compensative che vanno dal riconoscimento dell’area di crisi complessa all’investimento per il territorio di ulteriori 32 milioni di euro.
A rivendicare un ruolo attivo di Eni, propositivo e di alto livello, sono i segretari Gaetano Catania (Filctem Cgil), Francesco Emiliani (Femca Cisl) e Maurizio Castania (Uiltec Uil) riunitisi ieri in un consiglio di fabbrica con la rappresentanza sindacale delle società appartenenti al gruppo Eni. «Degli investimenti concordati in area upstream si è visto poco o nulla – accusano le segreterie sindacali di categoria – Non sono stati avviati gli interventi di perforazione preventivati, finalizzati all’esplorazione e coltivazione di nuovi giacimenti, che nella carta avrebbero dovuto garantire uno stabile equilibrio economico finanziario rispetto all’aumento del personale.
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