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Il pizzo, la droga e gli affari sulla frutta: le mani di cosa nostra sulla Capitale

GELA. Cosa nostra aveva messo le mani sulla capitale. E’ quanto emerge dall’operazione antimafia condotta dalla Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo e disposta dalle Direzioni distrettuali antimafia di Roma e di Caltanissetta. Colpito con 37 misure di custodia cautelare il clan Rinzivillo di Gela.

Impegnati, nell’esecuzione dei provvedimenti 600 operatori di polizia, appartenenti al Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Roma, alla Questura di Caltanissetta, al Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma nonché alla Polizia Criminale di Colonia (Germania). In manette è finito il boss gelese Salvatore Rinzivillo, da tempo residente a Roma. E accusato di intestazione fittizia di società al fine di eludere la normativa antimafia in materia di misure di prevenzione patrimoniali, traffici di droga sull’asse Germania – Italia, destinati a rifornire il mercato della Capitale, ed un grave episodio estorsivo, aggravato dalle modalità mafiose.

Avrebbe estorto denaro alla nota famiglia Berti, titolare del rinomato Cafè Veneto. Il clan, grazie anche alla complicità di Santo Valenti, anche lui gelese, avrebbe messo le mani anche sul mercato ortofrutticolo della Capitale, condizionando la gestione delle forniture. Coinvolti anche due “infedeli” dello Stato, due carabinieri, Marco Lazzari e Cristiano Petrone, accusati di aver passato notizie riservate al clan, servendosi delle Banche Dati in uso alle Forze di Polizia.

Un avvocato romano, Giandomenico D’Ambra, avrebbe fatto da tramite fra il clan gelese e altre famiglie mafiose. Un pregiudicato romano, Angelo Golino, al titolare del Cafè Veneto, avrebbe consegnato pizzini minatori, Salvatore Iacona, anche lui pregiudicato romano, con l’uso delle armi lo avrebbe intimidito. Intimidazioni e minacce messe a segno anche da parte di un altro pregiudicato gelese, Rosario Cattuto. Avrebbero chiesto alla famiglia Berti, 180 mila euro.

La vittima, Aldo Berti, da un lato ha presentato una denuncia e dall’altro si sarebbe rivolto ad un mafioso palermitano, Salvatore Baldasse, prima collaboratore di giustizia e poi estromesso dal programma di protezione, appartenente ai Galatolo. Altri 31 provvedimenti sono stati emessi dal Gip del Tribunale di Caltanissetta per associazione di stampo mafioso, estorsione, detenzione illegale di armi, riciclaggio e autoriciclaggio, intestazione fittizia di società. A reggere la cosca, dopo l’arresto di Antonio e Crocifisso Rinzivillo, detenuti al carcere duro, sarebbe stato proprio Salvatore, il quale venne richiamato in Sicilia dalla Capitale, per riorganizzare il clan. Salvatore Rinzivillo avrebbe quindi intrattenuto rapporti con altri boss palermitani, catanesi e trapanesi, riuscendo ad infiltrarsi nel settore imprenditoriale.

Un clan con ramificazioni in mezza Italia, in particolare nel Lazio e in Lombardia e in Germania. Una cosca ben organizzata, dove a dettare legge ci sarebbero stati i capi storici, detenuti al 41 bis e con Salvatore Rinzivillo, che dopo la scarcerazione avvenuta nel 2013, avrebbe ripreso le redini dell’organizzazione mafiosa.

C’era un’ala criminale che si occupava di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, estorsioni, intestazioni fittizie e traffico di armi e un’altra ala imprenditoriale, che si occupava invece di edilizia, di trasferimento fraudolento di beni nonché di commercializzare autoveicoli, alimenti in genere e prodotti ittici in particolare.

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