GELA. Il mare di Gela continua a restituire beni archeologici di inestimabile valore. Questa volta, i fondali dello specchio d’acqua antistante contrada “Bulala”, dove in passato già sono stati rinvenuti i relitti di tre navi greche, ha restituito trentanove “lingotti” unici al mondo. Sono stati i militari della Capitaneria di porto, Guardia di Finanza e volontari a fare riemergere 39 oricalchi risalenti al sesto secolo a.C.
Si tratta di metalli preziosi, che confermano che Gela era un porto d’attracco. I reperti archeologici sono composti da una lega formata da rame e zinco in percentuale di 80 e 20 per cento. Ritrovata anche una macina in legno perfettamente conservata e una statuetta ex voto raffigurante la Dea Demetra alta all’incirca 30 centimetri.
“Questa scoperta – ha sottolineato Sebastiano Tusa, sovrintendente del Mare della Regione Siciliana - dimostra come Gela era una città particolarmente ricca, dove veniva lavorato un artigianato di qualità. L’oricalco, dopo l’oro e l’argento, veniva considerato un metallo fra i più preziosi. Venne utilizzato per la prima volta da Platone. Veniva impiegato per decorazioni di particolare pregio, soprattutto per armature e templari. Ha un colore molto simile all’oro. Proveniva con tutta probabilità dall’Asia minore o dalla Grecia”. “Continueremo a scavare – ha aggiunto Tusa - nella zona per comprendere meglio cosa il mare continua a custodire in una delle aree che negli anni si è rivelata particolarmente ricca”.
“E’ proprio quando ci sono le mareggiate – ha aggiunto Pietro Carosia, comandante della Capitaneria di Porto di Gela - che il mare restituisce questi tesori”. A rinvenire i 39 lingotti, è stato un subacqueo gelese, Francesco Cassarino, che con la sua associazione “Mare Nostrum” da anni collabora con gli uomini della capitaneria di Porto, alle ricerca di tesori che il mare di Gela custodisce nei suoi fondali. Servizio di Donata Calabrese
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